Stefano Cappellini La Repubblica 6 dicembre 2022
Bonaccini e Schlein, la sfida degli opposti. Nel Pd divisi su tutto ma uniti dal calcio
I due candidati alla segreteria dem sembrano fatti per incarnare ogni tipo di antinomia: uomo contro donna, lui nato a Modena, lei nata a Lugano
Stefano Bonaccini e Elly Schlein, ordine alfabetico, hanno un grande terreno di intesa: il piacere di giocare a calcio. Lui l’ha fatto fino a 38 anni, è arrivato in Promozione, lei è uno degli elementi di punta della Nazionale parlamentari. Fine delle intese. Dice: ma come? Non hanno pure lavorato insieme in Regione Emilia Romagna, dove Schlein è stata la vice di Bonaccini? Sì, e il ticket era un’altra prova della loro diversità, anzi era studiato e varato proprio per la complementarietà: cosa serve a Bonaccini per non essere troppo Bonaccini? Schlein. Cosa serve a Schlein non essere troppo Schlein? Sapete la risposta.
Se la sceneggiatura l’avesse decisa l’algoritmo che sonda e secerne i gusti del pubblico delle piattaforme video, non avrebbe potuto assortire più schematicamente gli antagonisti della serie dem “Il Congresso”. Bonaccini e Schlein sembrano fatti per incarnare ogni tipo di antinomia: uomo contro donna, lui nato a Modena, un po’ Bruce Willis va in Emilia (dopo il cambio di look), lei nata a Lugano, la Alexandria Ocasio-Cortez di noialtri, come la stella della new left newyorchese è cresciuta da spina nel fianco dell’apparato, provincia contro cosmopolitismo, centrosinistra e sinistracentro, in questo caso il centro forse, piadine e avocado, Guccini e Dylan, pure gli hobby li distanziano, sebbene forse più per ragioni anagrafiche (rispettive date di nascita: 1967 e 1985). Dunque uno, analogicamente, fa la collezione a kilometro zero di album Panini e l’altra, millennial, ama rilassarsi con i videogiochi, il primo ha visto tutte le puntate del tenente Colombo e di Ellery Queen, la seconda suona il piano e la chitarra elettrica. Schlein ha avuto anche un passato nel cinema, da aiuto regista di un documentario sull’immigrazione albanese, molto impegnato, il film preferito di Bonaccini è Novecento di Bernardo Bertolucci, che almeno era pieno di bandiere rosse.
Le distanze, ovviamente, ci sono anche se si parla di politica. E di guerra. Bonaccini è un convinto sostenitore della linea del Pd sul conflitto in Ucraina: la pace va cercata sì, ma intanto non si può lasciare l’aggredito in balìa dell’aggressore. Schlein è ambigua sull’invio di armi: parliamone, dice, ma ora serve uno sforzo diplomatico. Sembra la linea di Giuseppe Conte. Del Jobs Act Schlein ha detto, proprio a Repubblica, che fu la prova dell’asservimento del Pd al “mantra neoliberista”. Altre cose del Pd che Schlein punta a rottamare: le politiche di Minniti sull’immigrazione, le aperture all’autonomia differenziata. Su quest’ultimo punto, però, anche Bonaccini sembra in fase di ripensamento dopo una disponibilità a ragionarci. Nessuno vuole il sostegno delle correnti, ma ognuno volente o nolente ne prenderà i voti.
Un tempo si sarebbe detto il riformista contro la radicale, non nel senso pannelliano ma della nettezza delle posizioni. Ha ancora senso? Per la riuscita del congresso è una iattura, per i diretti interessati pure, però al resto del mondo – leggi soprattutto: i rispettivi sostenitori – piace incasellarli più di quanto già non lo siano. I fan del governatore emiliano ne lodano il pragmatismo e la solidità politica, e rischiano di scoraggiare chi giustamente dopo anni di batoste e delusioni chiede il brivido di una svolta profonda; i fan della sua ex vice ne vantano la freschezza e l’idealismo, e rischiano di impaurire chi teme il salto nel buio, perché guidare il Pd è senz’altro più complicato che occuparlo, come Schlein fece dopo la congiura dei 101 contro Prodi, il movimento si chiamava Occupy Pd come quello contro Wall Street, una delle molte etichette adottate dalla sinistra italiana negli ultimi anni che, non si offenda la mozione internazionalista, hanno funzionato meglio al Village che all’uscita del turno di Melfi.
Tra le oggettive distanze antropologiche che separano i due principali aspiranti alla leadership del Pd c’è poi il fatto che Bonaccini è un ragazzo di sezione, papà camionista e mamma un po’ operaia un po’ casalinga, entrambi comunisti del Pci, tutti in lacrime ai funerali di Enrico Berlinguer; Schlein, invece, figlia di un politologo di origine ebraica e di una docente universitaria, è una ragazza di intersezione, la teoria di matrice Usa che ha reso non binaria anche la vecchia lotta di classe e assegna i punti sfruttamento in base a genere, etnia, colore della pelle, disabilità: chi somma tutti gli svantaggi è insieme il rappresentante e il rappresentato ideale della politica progressista. Se la segreteria del Pd si decidesse sulla base dell’intersezionalismo, Bonaccini sarebbe spacciato. È maschio bianco etero abile: non benissimo. Schlein due anni fa annunciò di essersi innamorata di una donna. Resta nelle biografie quel gancio che può svoltare la giornata di un editorialista sovranista e pigro: è un (ex) proletario il candidato leader più moderato, è una borghese la candidata che pensa il Pd più spostato a sinistra.
Il governatore è già gravato da un problema evidente, deve convincere molti di non essere in missione per conto di Renzi, di cui fu coordinatore della segreteria prima di candidarsi in Regione. In realtà Bonaccini ha preso da tempo le distanze dall’ex premier. Ad accomunarli c’è forse qualche tratto caratteriale, Bonaccini è un sanguigno, istintivo come Renzi seppure decisamente meno machiavellico. Nel Pd che è da anni un campo di battaglia le polemiche trasversali vanno forte. “Zitto tu, che ti vota Lotti”, dicono dunque al governatore gli ultras della curva Schlein. “Zitta tu, che ti vota Franceschini”, rispondono dalla curva opposta. Franceschini stesso, d’altra parte, la spiega così: “Bonaccini è l’usato sicuro, Schlein è il rischio, ma questa è la fase in cui il Pd o rischia o muore”. Dire oggi chi prevarrà nella sfida ai gazebo è impossibile. E forse è un bene che lo sia. Tra gli iscritti è probabile prevalga Bonaccini, molti non gradiscono che la guida del partito vada a una neo tesserata. Alle primarie può succedere di tutto e per molti non sarà facile decidere: Stefano o Elly? Dentro o fuori? E soprattutto: qual è il contrario di usato sicuro?