Emanuela Orlandi e la banda della Magliana. «Così il boss De Pedis partecipò al sequestro»

Fabrizio Peronaci Corriere della Sera 7 dicembre 2022
Emanuela Orlandi e la banda della Magliana. «Così il boss De Pedis partecipò al sequestro»
Il verbale (inedito) di Marco Accetti sul prelevamento della ragazza davanti al Senato: “De Pedis le mostrò un tascapane con la lettera A di Avon… Poi se ne andò in moto”

Il sequestro di Emanuela Orlandi e la banda della Magliana. In queste ore in cui, grazie alle anticipazioni del blog “Notte criminale”, si è creata una certa attesa sui contenuti di un audio registrato nel 2009 – conversazione “rubata” e non ancora resa nota, nella quale un ex esponente della gang accuserebbe alti prelati – torna in primo piano il ruolo avuto nella vicenda dal boss Enrico De Pedis. Fu l’ex amante Sabrina Minardi, nell’inchiesta aperta nel 2008 dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, la prima a puntare il dito contro “Renatino”, mettendo a verbale di aver accompagnato in macchina “la ragazzina” ai piedi del Gianicolo, dopo aver percorso la “strada delle mille curve”, proprio su richiesta di De Pedis. Era l’estate 1983. La Minardi aggiunse di aver consegnato Emanuela nella piazzola di un benzinaio a un monsignore giunto su una berlina nera che indossava «una tonaca con i bottoncini davanti», e di aver sentito da “Renatino” che il rapimento era stato organizzato per riavere indietro i soldi consegnati al Vaticano attraverso lo Ior di Marcinkus.

Minuto per minuto
Ebbene, questa “verità” (duramente contestata dalla Santa Sede) era nota. Ma negli atti giudiziari non c’è soltanto lei, la femme fatale. Anche un altro indagato dell’inchiesta di Capaldo (chiusa nel 2015 con l’archiviazione voluta dal suo superiore, il procuratore Pignatone) ha attribuito a De Pedis un ruolo operativo molto importante. Marco Accetti, l’uomo che nel 2013 consegnò il flauto riconosciuto dalla famiglia come quello di Emanuela e la cui voce corrisponde a quella di almeno un paio di telefonisti, ha infatti chiamato in causa molte volte “Renatino” nel suo memoriale di autoaccusa, che contiene una ricostruzione minuto per minuto del sequestro di Emanuela davanti al Senato. Si tratta di un documento inedito, tuttora custodito in Procura, che oggi assume interesse anche alla luce della credibilità che si è guadagnata lo stesso Accetti la scorsa estate, allorché il pm Erminio Amelio ha disposto l’apertura della tomba di Katy Skerl (una 17enne assassinata nel 1984, delitto collegato al caso Orlandi) e verificato che effettivamente la bara era stata rubata, così come era stato rivelato con largo anticipo dall’ “uomo del flauto” (peraltro coinvolto anche nella morte di Josè Garramon, qui la recente intervista del Corriere alla mamma del piccolo). Eccolo dunque, il boss De Pedis in azione il 22 giugno 1983, così come descritto da Marco Accetti. Va premesso che il fotografo oggi 67enne si è autoaccusato del sequestro, affermando di essere stato ingaggiato da un gruppo di religiosi (il cosiddetto “ganglio”) interessati da un lato a contrastare la linea fortemente anti-comunista di papa Wojtyla e dall’altro a chiudere con un accordo la partita finanziaria (disastrosa per il Vaticano) legata al crak del Banco Ambrosiano. Il memoriale, prima di illustrare la scena all’uscita dalla scuola di musica di Sant’Apollinare, inquadra il coinvolgimento di “Renatino” nei tragici fatti di quei primi anni Ottanta.

Antefatto: la morte di Calvi
«Dopo la morte del Presidente dell’Ambrosiano Calvi – scrive Accetti nel documento secretato dalla Procura – venne meno la compattezza di quell’ insieme di persone che a lui prestava fondi da destinare a Solidarnosc, e fu quindi agevole convincere il signor De Pedis a collaborare con noi. L’interesse del sig. De Pedis sarebbe stato quello di recuperare quanto prestato al Dott. Calvi, ma a questa operazione si sarebbe opposto Mons. Marcinkus. Questo si fece presente all’imprenditore, che era necessaria la rimozione del Monsignore o la sconfitta della sua linea politica…» Emanuela, in tale scenario, sarebbe stata presa in ostaggio con un movente “multiplo”, nell’ambito delle tensioni sui finanziamenti alla Polonia e sulla malagestione delle finanze della Santa Sede. Da questo momento Accetti nomina De Pedis con un certo timore reverenziale, definendolo “l’imprenditore”. Ed ecco cosa sarebbe accaduto alla sventurata quindicenne nel pomeriggio del 22 giugno 1983, in due fasi: prima della lezione di musica, attorno alle 16.30, e dopo, dalle 19…

L’amica complice del Convitto
«La partecipazione dell’imprenditore – scrive Accetti – fu compartimentata da ogni ambiente che lo stesso fosse uso frequentare. Gli chiedemmo di usare un numero esiguo di persone a lui vicine… Avevamo già avvicinato la Orlandi ed eravamo d’accordo… Sarebbe dovuta pervenire dal Palazzo di Giustizia, cosa che sorprendentemente non fece, imbattendosi nella compagna dell’Istituto Convitto Nazionale, che stazionava in Corso Rinascimento, la quale la corresse indirizzandola a percorrere l’interno di piazza Navona per poi riprendere Corso Rinascimento dalla parte opposta». Il gruppo di rapitori, quindi, era riuscito a conquistarsi la fiducia di un’amica di scuola? Cosi pare… «La Orlandi si fermò alcuni metri prima del punto prefissato giorni prima per l’appuntamento, al centro della strada che mette in comunicazione corso Rinascimento con piazza Navona (corsia Agonale, ndr). La Bmw, parcheggiata in doppia fila nel tratto che va dal Senato a Corso Vittorio Emanuele II, nel vedere la ragazza avanza e sterzando a sinistra va ad accostarsi contromano e in doppia fila al centro della suddetta stradina. Questa manovra, con un’autovettura inconsueta e dal colore sgargiante (verde tundra, secondo le successive testimonianze, ndr), serviva ad attirare l’attenzione di quanti stazionavano innanzi al Senato. La nostra intenzione era che si potesse produrre un identikit al fine di far credere che il sequestro fosse opera della criminalità romana…»

L’incontro e le foto
Il presunto contatto De Pedis-ostaggio è così descritto: «L’imprenditore scende dalla macchina, indirizzandosi verso il marciapiede, e contestualmente la ragazza avanza sul marciapiede verso di lui, ed entrambi simulano un incontro su appuntamento. L’imprenditore le mostra, estraendoli dall’interno di un tascapane, alcuni prodotti cosmetici avvolti nella loro confezione. Il tascapane azzurro doveva ricordare l’Aeronautica italiana, in quanto alcuni membri della stessa collaboravano con la parte a noi avversa. La “A” posta sul tascapane, oltre a ricordare per l’appunto l’Aeronautica, doveva rammentare la società Avon…»

Il testimone fa il sosia
Si posiziona così sulla scena, affermando di essersi vestito e acconciato in modo da somigliare a “Renatino”: «Io ero già posizionato nei pressi di un vestigio – piedritto dello Stadio di Domiziano, e al momento del suddetto incontro fuoriuscii e, simulando di fotografare la ragazza tedesca con la quale ero arrivato, ripresi in realtà la Orlandi e l’imprenditore. Io e la ragazza tedesca eravamo vestiti in guisa di turisti, ma io, sotto un leggero giubbotto, recavo gli stessi abiti indossati dall’imprenditore, ed anche sotto un leggero cappellino a visiera riportavo i capelli con lo stesso taglio e pettinatura del signor De Pedis. Questo per sostituirmi rapidamente a lui nella eventuale necessità che la sua persona potesse essere stata individuata ed in pericolo. Nella stessa misura precauzionale, un motociclista era posizionato circa 50 metri nella direzione di Corso Vittorio Emanuele II e si sarebbe azionato per prelevare l’imprenditore in caso di estrema necessità…». Scattate le foto, Emanuela si dirige verso il complesso di Sant’Apollinare… «Al termine del breve colloquio la ragazza si indirizzò verso la scuola ed anche l’imprenditore percorse la stessa direzione, andandosi a parcheggiare innanzi all’altra piccola strada che collega piazza Navona e la via che conduce verso Palazzo di Giustizia. Consegno il rullino non interamente utilizzato all’imprenditore, che sale a bordo della moto, condotta da colui che in caso di necessità estrema lo avrebbe dovuto prelevare e si allontana…»

Emanuela Orlandi e la banda della Magliana. «Così il boss De Pedis partecipò al sequestro»

Prima fase conclusa
«La Orlandi entrò nella scuola e tutti noi ci allontanammo». La ricostruzione si sposta adesso alle 19, ora in cui Emanuela, finite le lezioni di flauto e canto corale, fa l’ultima telefonata a casa, quella in cui racconta di aver ricevuto una proposta di lavoro (da 375 mila lire in un pomeriggio) per la Avon. Accetti insiste nel far notare che quel pomeriggio i genitori di Emanuela non erano a casa (effettivamente si trovavano a Fiumicino, da parenti) non per caso… «Nell’abitazione della Orlandi – prosegue il memoriale – non doveva trovarsi alcun membro della famiglia, ma ci arrivò la segnalazione della ragazza dell’Associazione Cattolica (una seconda amica-complice, ndr) la quale ci avvertiva dell’imprevista presenza nella casa di una delle sorelle. L’assenza dei genitori avrebbe dovuto significare che il padre Ercole aveva accettato la nostra proposta e non si faceva trovare nell’abitazione per non dover opporre il diniego ad Emanuela quando costei, telefonando, avrebbe fatto presente della sua possibile collaborazione con la Avon. Riuscimmo a comunicare alla Orlandi tramite una compagna di scuola di musica, già in rapporto con noi, di dire alla sorella che avrebbe risposto al telefono i codici “Avon” e “375”».

I messaggi in codice
«Il progetto originale, prevedeva che in casa non vi fosse nessuno e la Emanuela dopo la telefonata avrebbe dovuto comunicare alle compagne che essendo i genitori assenti chiedeva consiglio alle stesse riguardo l’accettare o meno la proposta di lavoro. Per cui i codici sarebbero stati comunicati alle compagne attraverso il racconto dell’incontro con l’uomo Avon. La Orlandi avrebbe dovuto dire alle ragazze di aver già conosciuto nel passato l’uomo Avon presso un defilèe delle Sorelle Fontana tenutosi nella Sala Borromini. E che l’incontro avuto con lui nelle ore precedenti era concordato con appuntamento. La cifra di 375.000 lire, che per la sua esagerazione doveva generare un senso di allarme e improbabilità, era, anagrammandola, la data della prima apparizione della Madonna di Fatima: 13-5-1917…»

Entra in gioco il Sismi
I codici, in questo scenario, servivano agli organizzatori del sequestro per “dialogare” sottotraccia con ambienti ecclesiali. Così come lo sarà il 158, imposto dai rapitori come “passepartout” per le telefonate riservate in Vaticano, e poi spiegato come anagramma di 5-81, mese e anno dell’attentato di due anni prima al papa… «Il codice “Sorelle Fontana” della telefonata significava l’abitazione di Mons. Celata posta un portone prima della sede dell’atelier, presso il Collegio San Giuseppe Istituto De Merode (in piazza di Spagna, lo stesso in cui Accetti frequentò le scuole medie, ndr). Questo Monsignore era stato incaricato, con altri, di svolgere alcune iniziative tese a ottenere l’allontanamento di Mons. Marcinkus dal compito che svolgeva come presidente dell’Istituto Opere di Religione. Tra tali iniziative vi fu anche quella di ottenere tale risultato attraverso una collaborazione con il Servizio d’Informazione della Sicurezza Militare (Sismi), condotto dall’allora Dott. Santovito, con l’ausilio del Dott. Francesco Pazienza. “Sala Borromini” significava l’abitazione del Dott. Pazienza posta nell’immediata vicinanza di piazza dell’Orologio, laddove si diceva che costui incontrasse persone vicine al signor De Pedis. Per cui il codice composito significava: una sfilata – azione di Mons. Celata con il Dott. Pazienza, nel senso che da questo connubio si otterrà un risultato contro la politica dell’Istituto Opere di Religione…» Passati in rassegna i codici, rieccoci alla scena del 22 giugno…

All’uscita dalla scuola di musica
«L’appuntamento – continua il memoriale – era per le ore 7 pomeridiane nuovamente di fronte al Senato e ci sarebbe dovuto essere l’imprenditore, ma sapevamo a priori della presenza a quell’ora a piazza Navona del commissario Stella, del primo distretto, che ben conosceva il volto del signor De Pedis, per averlo visto, questo a noi risultava ma con beneficio d’inventario, in tempi precedenti a colloquio con l’allora dirigente dello stesso distretto, vicequestore Dott. Pompò. Per cui a prendere la Orlandi si avvicina la sua compagna d’istituto del Convitto (la famosa ragazza con i capelli ricci notata in zona ma mai individuata, ndr), che nel primo incontro del pomeriggio tra la Orlandi e l’imprenditore, doveva mantenersi distante per non vedere in viso l’imprenditore, in quanto sarebbe stata una ulteriore testimone contro il signor De Pedis ed al tempo stesso, nel caso in futuro avesse preso conoscenza della reale identità di quella persona, avrebbe potuto temere per la propria incolumità in quanto testimone. La Orlandi e la compagna si avviano, attraversando corso Rinascimento, in direzione Corso Vittorio Emanuele II, e si fermano all’imboccatura di una stretta via che immette in piazza Navona (corsia Agonale, ndr). E da questa ne esce una Mercedes, non ricordo se blu scura o nera, con targa posticcia riconducente allo Stato Città del Vaticano…»

Il prelevamento
Suspence. È questo, secondo l’autore del memoriale, il momento del prelievo: «Le ragazze salgono a bordo nel sedile posteriore e la macchina si avvia molto lentamente, sfilando innanzi al Senato, con la Orlandi ben visibile al finestrino posteriore, nella speranza che possa essere notata, dal personale che ivi stazionavano. L’autovettura arriva davanti a Porta Sant’Anna, le due ragazze scendono. La Orlandi entra all’interno e la ragazza del Convitto la aspetta all’esterno della stessa porta…» Da questo momento Accetti spiega che Emanuela sarebbe rientrata per qualche minuto in Vaticano, per farsi vedere da qualcuno, e poi, sempre sotto la “scorta” dei suoi rapitori, sarebbe stata condotta in una casa religiosa, Villa Lante della Rovere, ai piedi del Gianicolo, dove avrebbe trascorso la prima notte…

L’intoppo nella trattativa
«L’indomani – così si conclude questa parte del memoriale – pur essendo già in possesso della copia della denuncia, ci giunse notizia che la Commissione Bilaterale, voluta dal Segretario di Stato Card. Casaroli e composta anche da personalità appartenenti alla Repubblica Italiana per indagare sulle gravi discrasie economiche verificatesi all’interno dell’Istituto Opere di religione (Ior), non avrebbe consegnato, così come da impegno preso, il proprio parere il 30 giugno 1983. E non si conoscevano le reali motivazioni di tale rinvio. A tal’uopo si decise di trattenere la ragazza, la cui “scomparsa” si poteva “gestire” anche in rapporto a tale possibile necessità…». Siamo tornati, quindi, al movente “multiplo”: un sequestro a sfondo politico-complottistico, ideato come temporaneo, da far durare pochi giorni, nato come un allontanamento volontario da casa (è indubbio che la ragazza sia caduta ingenuamente in un tranello), con il precipitare degli eventi crebbe di mese in mese, allarmando l’opinione pubblica mondiale, e si trasformò nell’intrigo più torbido di fine Novecento. E questo è un fatto. Le altre verità dell’uomo del flauto, figlio di massone, cresciuto in ambienti di chiesa, frequentatore di estremisti di destra e di esponenti del partito radicale (forse a scopo di copertura), sono contenute negli altri capitoli del memoriale. In tutto 103 mila battute alle quali aggiungere 4 allegati, per un totale di oltre 60 cartelle, tuttora blindate negli armadi di Piazzale Clodio.

 

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