Il Copasir a Lorenzo Guerini, piace a Meloni e lo vota Conte.

Maria Teresa Meli Corriere della Sera 7 dicembre 2022
Il Copasir a Lorenzo Guerini, tiene l’asse M5S-Pd.
Donzelli la spunta nel duello fra alleati
Il vice è il fedelissimo di Giorgia Meloni che ha avuto modo di conoscerlo durante la lunga fase della transizione tra il governo Draghi e il suo. La sfida sulla Rai

I colleghi del governo Draghi e i compagni di partito lo chiamavano «il ministro del Deep State». Un soprannome ben meritato quello di Lorenzo Guerini, che ieri è stato eletto (per la seconda volta nella sua carriera politica) presidente del Copasir. Lo dimostra il fatto che la sua candidatura veniva vista con favore dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dal Quirinale e dall’ambasciata americana. Già, perché la guida della commissione bicamerale più importante (e più delicata) del Parlamento deve essere affidata in mani sicure. E l’ex ministro della Difesa, in questo senso, era il candidato naturale a quel ruolo.

Guerini, classe 1966, nato a Lodi, è stato eletto con nove voti su dieci perché lui, com’è nel suo stile, si è guardato bene dall’esprimersi in suo favore, al contrario del suo vice Giovanni Donzelli, responsabile organizzativo di Fratelli d’Italia, che, invece, si è votato. Segno che non si fidava della sua stessa maggioranza. Difficile dargli torto, perché l’allungamento dei tempi dell’elezione del presidente del Copasir non è stato causato, come pure si è detto e scritto, da Giuseppe Conte che non voleva dare il «via libera» finché non avesse incassato la sicurezza di portare a casa la guida della Commissione di vigilanza Rai (quello di Riccardo Ricciardi tra i nomi più accreditati).

Il suo «sì» a Guerini il leader del Movimento 5 stelle lo aveva già dato una ventina di giorni fa. A provocare lo slittamento dei tempi erano stati invece i dissidi interni al centrodestra, con Forza Italia che sponsorizzava Licia Ronzulli per la vicepresidenza del Copasir e la Lega che promuoveva Claudio Borghi per quello stesso posto. Due candidati giudicati inadatti da Meloni e non solo da lei, a dire il vero. E infatti alla fine di un braccio di ferro durato poco meno di una settimana la premier l’ha avuta vinta su Silvio Berlusconi e Matteo Salvini e quel ruolo ora lo riveste un suo fedelissimo. Donzelli, appunto.

E che il numero uno sia Guerini alla premier sta più che bene. Per tre motivi. Primo, perché Meloni ha avuto modo di conoscerlo durante la lunga fase della transizione tra il governo Draghi e il suo. In secondo luogo perché l’ex ministro della Difesa più di ogni altro dà garanzie di atlantismo e di coerenza sul fronte del conflitto tra Russia e Ucraina (una delle ultime visite del suo mandato, non a caso, Guerini l’ha fatta a Zelensky) e questo, per una premier che si deve difendere dai sospetti di filo-putinismo che gravano sui suoi alleati, rappresenta un’«assicurazione» di non poco conto.

Infine, Meloni non aveva intenzione alcuna di procedere all’elezione del presidente del Copasir con una spaccatura tra le opposizioni (perché quella poltrona spetta tradizionalmente alle minoranze) che avrebbe costretto la maggioranza a scegliere un candidato nel campo altrui. E quello di Guerini è un nome che unisce, tant’è vero che anche il Terzo Polo (che ha avuto la poltrona di segretario del Copasir per Ettore Rosato) era d’accordo. Persino Conte se lo è fatto andar bene, anche se con l’allora ministro della Difesa aveva avuto un duro faccia a faccia verso la fine del suo governo. L’allora premier infatti aveva tenuto in aula un discorso in cui sottolineava l’equidistanza dell’Italia tra Washington e Pechino. E lo aveva fatto proprio a inizio mandato di Biden. Guerini gli aveva imposto di correggersi in replica e di salutare l’insediamento del presidente Usa, cosa che Conte si era dimenticato di fare: «Ti rendi conto che noi stiamo con l’Occidente?», gli aveva detto senza mezzi termini il ministro della Difesa.

Il leader del M5S, però, aveva già detto no a un’altra candidatura dem per il Copasir, quella di Enrico Borghi (con cui aveva avuto qualche polemica negli ultimi tempi) e quindi quando, una ventina di giorni fa, si son chiusi i giochi, Conte ha dato il suo assenso a Guerini senza opporre resistenza.

Il «no» dell’ex premier aveva lasciato un po’ di amaro in bocca a Borghi, che però oggi, dopo aver votato per il compagno di partito, dice: «Mi appunto sul petto la medaglia al valore virtuale conferitami dall’ostracismo di Conte nei miei confronti». Guerini, invece, non dice niente: nessuna dichiarazione, per rispetto al ruolo che ricopre e che intende svolgere con la sobrietà di sempre.

 

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