Cuperlo: “Né con Schlein né con Bonaccini: valuterò se scendere in campo”

Carlo Bertini La Stampa 8 dicembre 2022
Cuperlo: “Né con Schlein né con Bonaccini: valuterò se scendere in campo”
L’ex presidente del Pd: «Alla sinistra del partito serve una candidatura diversa, largo a chi si è battuto di più per cambiarci. Il M5S? Il problema è la destra, non loro»


«Chi ha condiviso la stagione del renzismo e oggi nella critica al capitalismo scavalca le posizioni di Lula, dovrebbe spiegare le ragioni di tanta conversione»: Gianni Cuperlo, uno dei leader della sinistra dem, prende le distanze da Stefano Bonaccini ma non si schiera con nessuno dei nomi in campo. E non esclude un’altra candidatura, «espressione della sinistra che in questi anni si è più battuta per cambiare il Pd».

Potrebbe schierarsi lei nella sfida per la segreteria insieme a Schlein e Bonaccini?
«Ad alcuni di noi è stato chiesto di esserci. Per natura non antepongo un nome alla cosa. Valuterò con altri come stare in una battaglia che sentiamo di dover fare. Penso a quanti al Pd potrebbero avvicinarsi o ritornare se scorgessero nel nuovo corso la riscoperta di una idealità e delle coerenze necessarie. Su un fisco giusto, perché lavoratori a parità di reddito non possono avere aliquote diverse. Sulla sanità pubblica, dove costruire barricate per garantire un’ecografia senza attendere mesi. C’è un pezzo di sinistra che nella nuova stagione chiede di entrare a schiena diritta. Deluderla sarebbe una colpa».

La scissione viene evocata ogni giorno, come evitarla?
«Con la coscienza di chi sa che dinanzi a questa destra dividere la forza principale del centrosinistra non ci sarebbe perdonato. Lavoro per un Pd mescolato, severo coi trasformismi e aperto a chi il potere non lo ha mai avuto».

Mentre voi fate il congresso, Conte conquista spazi con sindacati e imprese con piglio da leader dell’opposizione. Cosa rischiate?
«Il problema non è Conte, ma la destra che se la piglia con poveri e migranti mentre riverisce gli evasori. Il rischio vero per il Pd è non capire perché abbiamo perso di nuovo come nel 2018. Per me la sinistra crolla quando si spezza il legame tra la “promessa” e la politica. Se la concretezza del fare non imbraccia un senso, se rinunci a un’alternativa credibile per la dignità di tanti, ci saranno sempre dei tecnici più capaci a garantire l’esistente. Bisogna ripartire da qui sapendo che le formule – rifondare, sciogliere, rottamare – si sono logorate soprattutto perché a rivendicarle sono sempre gli stessi».

C’è il rischio che il Pd scompaia, con il suo spazio assorbito da M5s e Terzo polo?
«Penso di no, anche se quando lasci vuoto uno spazio è probabile che ci sarà chi lo occupi e in quel caso devi prendertela solo con te. L’errore del Pd è stato cancellare il conflitto immaginando una società pacificata dove disuguaglianze e povertà sarebbero state assorbite dall’impatto di start-up, talenti individuali e di un mercato talmente grande che tutti avrebbero avuto il loro posto e un reddito degno. Per troppi quel sogno è divenuto un incubo. Ci è mancato un linguaggio del tempo assieme al potere di donne e giovani. Abbiamo trascurato la forza della scienza, di abilità e intelligenze che la sinistra ha smesso di andare a cercare. Avere umiltà e passione per ricucire quei legami è condizione per rialzarsi con altre idee, orizzonti politici, etici, culturali».

Che problemi pone l’intreccio tra fase costituente e candidature al congresso Pd?
«Il problema che vedo è sovrapporre il congresso a due Regioni fondamentali che vanno al voto in febbraio, il Lazio e quella Lombardia che spesso anticipa il Paese. Un congresso è costituente se pensa un mondo dove la storia è tornata a correre. Sul capitolo della guerra, di diritti umani violentati, di un capitalismo che sorveglia e condiziona le vite, della sopravvivenza di popolazioni travolte da un ambiente impazzito a opera dell’uomo. Davanti a sfide che la sinistra non ha previsto né compreso, a barcollare può essere la democrazia. La popolazione globale che vive in sistemi democratici è scesa dal 46 al 20 per cento negli ultimi sedici anni, basta a capire perché l’Occidente si trovi oggi sul ciglio del vulcano».

Individua punti di sintonia con uno dei vari candidati?
«Ho stima di tutti, per me la premessa non sta nel nome ma nel decidere se vogliamo un partito che non si nasconda gli errori di questi anni perché è la premessa per correggerli. Mica chiedo abiure, ma chi si propone alla guida di questa comunità non può tacere sul prima e sulle responsabilità di ciascuno. Di chi ha condiviso scelte che ci hanno isolato nel Paese, di chi se n’è andato e di quanti sono rimasti convinti che una lotta su contenuti e principi andava affrontata. Il Pd a cui penso sarà nuovo se non deluderà più chi alla sinistra chiede una speranza di riscatto».

I vari filoni della sinistra Pd possono trovare una sintesi in un solo candidato come Elly Schlein o Matteo Ricci?
«Tutti i candidati si definiscono di sinistra, ma ripeto: credo si possa valutare una candidatura della sinistra che in questi anni si è più battuta per cambiare il Pd. Lo riterrei utile perché renderebbe il congresso più inclusivo. Per me la sinistra è una mescolanza di lotte, biografie, speranze. Rosy Bindi, Pietro Bartolo, don Ciotti, Roberto Saviano, Andrea Riccardi, i reportage di Francesca Mannocchi e il lavoro di migliaia di sindaci, la sinistra non si risolve in un ceto politico. So bene quanto conti una leadership credibile, ma abbiamo sperimentato che non basta».

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