Le menzogne e la ferocia del potere, artisti russi protagonisti

Leonetta Bentivoglio La Repubblica 8 dicembre 2022
Le menzogne e la ferocia del potere
Tredici minuti di applausi per il “Boris Godunov” che ha aperto la stagione del Teatro alla Scala Nell’opera una condanna universale della violenza.
Boris Godunov è stato diretto da Riccardo Chailly. Ovazione finale per Ildar Abdrazakov, il basso russo, che ha interpretato il protagonista dell’opera, lo zar di tutte le Russie. Lunghi e sentiti applausi anche per gli orchestrali e per il resto del cast

 

Quando muore lo zar, crollato nel delirio, un rullo di timpani viaggia in rarefazioni da brivido, evocando un salto nel vuoto. Se c’è un modo in cui la musica riesce a esprimere la morte, questo è il finale del Boris Godunov di Musorgskij che ha aperto la stagione della Scala. Tredici minuti di applausi hanno accolto un Sant’Ambrogio trionfale, politicizzato, virilissimo (parata di voci maschili), cupo nelle tinte (nero d’ordinanza fra gli spettatori) e acclamato dal nuovo governo accorso in blocco. Diretta su Rai 1 e Radio3, maxischermi in giro per Milano, broadcaster nei continenti, proiezioni in cinema del globo.
Riccardo Chailly guida magistralmente l’opera esplorando il linguaggio armonico e timbrico audace usato da Musorgskij per immergerci in una metafora sulla ferocia del potere e della guerra. Guardando ben oltre la sua epoca (quasi espressionistica è questa versione del 1869), Boris riflette lo sperdimento e il dolore di un popolo schiacciato dalle menzogne. Accadde in Russia con quel despota mostruoso. Ma pure in Iran e altrove, ieri e oggi. Al di là dei riferimenti possibili, il nucleo è una condanna universale della violenza.
Godunov diviene zar grazie all’assassinio del legittimo erede, lo zarevi? Dmitrij, e crudele è il suo regno per i sudditi stremati. Nel ruolo dell’usurpatore canta il basso Ildar Abdrazakov, di statura interpretativa poderosa. Lo spettacolo del regista Kasper Holten è dominato da un’iperbolica mappa geografica sullo sfondo e da una pergamena colma di parole e disegni che invade lo spazio come un’onda cartacea. Il plot comincia nel 1598 e approda all’alba del Seicento. Condotto dalla regia netta e didascalica di Holten, si cala nei fatti storici russi trascritti di fronte a noi da Pimen, un monaco che mette in campo la libertà delle parole contro le censure. L’idea della Storia testimoniata dalla cronaca, ma manipolata dalle falsità dei potenti, è il tormentone dell’allestimento. Sangue e inchiostro. Il rosso e il nero.
L’incoronazione di Boris ha un fasto da grand-opéra. Uscendo dal portale d’oro del Cremlino sfilano sacerdoti e soldati tra alabarde, croci, icone, stendardi e matrioske. Costumi postmoderni. A sbuffi da paggio cinquecentesco possono intrecciarsi un doppiopetto del Novecento e il guizzo ottocentesco di una veste romantica. Certi fantasmi grondanti di soprusi sono punk. La colpa del delitto s’incarna nello spettro dello zarevi? Dmitrij che assilla la mente di Boris. Gioco d’impronta shakespeariana e ossessione ritornante. Poi, nel grigio ascetico di un monastero, Pimen redige un testo sulle tragedie della Russia. Appare barbonesco e ruvido come un clochard. Racconta il martirio dello zarevi? al monaco Grigorij che decide di puntare al trono fingendosi Dmitrij.
Esterna è la prima parte; psicologica e onirica è la seconda. Quest’ottica si specchia inizialmente negli interni della sontuosa abitazione moscovita dello zar. Via via il passato si mescola al presenterappresentato dai figli di Boris, Fëdor e Ksenija, e anche al futuro, che vibra nelle premonizioni nere da cui è afflitto lo zar. L’assedio di Grigorij lo trascina in allucinazioni horror. I crimini si abbattono sugli innocenti: una catasta di bambini trucidati, in un passaggio- chiave, è ammonticchiata sul palcoscenico. Richiama stragi e conflitti d’ogni tempo e colore, dalle fosse comuni di Auschwitz a quelle ucraine. Forse è l’immagine della serata che resterà di più, insieme a quella di Meloni in piedi nel palco reale, con duemila sguardi addosso, impettita nello scandire i versi dell’Inno di Mameli che ha dato il via al rituale.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.