La forza e il limite di Cristiano Ronaldo: il narcisismo

Aldo Cazzullo Corriere della Sera 9 dicembre 2022
La forza e il limite di Cristiano Ronaldo: il narcisismo (ma uno come lui merita rispetto)
CR7 in panchina nella partita con la Svizzera. Perché nemmeno in questi Mondiali in Qatar, è amato come meriterebbe? Chi lo conosce ne parla come di una persona di cuore, solo che il suo ego è misura di tutte le cose, anche della sua generosità

 

E ora già spunta qualcuno a trattare Cristiano Ronaldo come fosse una pippa. Cristiano Ronaldo: non solo uno dei più grandi calciatori; uno dei più grandi campioni nella storia dello sport. Cinque Mondiali e cinque Europei disputati, cinque Champions League e cinque Palloni d’Oro vinti, e il record assoluto come marcatore nelle Nazionali: 118 gol in 195 partite. Statistiche non umane. A livello delle 14 finali vinte su 14 al Roland Garros dal suo amico Rafa Nadal, o dei 13 ori olimpici di Michael Phelps (staffette escluse), o del 9”58 di Usain Bolt sui cento metri.

Allora, perché? Perché Cristiano Ronaldo ha rotto in malo modo con le sue ultime tre squadre, il Real Madrid, la Juventus, il Manchester United, che a parte l’adolescenza nello Sporting Lisbona sono poi tutte le squadre della sua vita? Perché ha rotto, si spera in modo non irrimediabile, con il ct portoghese Santos? Perché è apparso così solo ieri nella notte della festa? La forza di Cristiano Ronaldo, e nello stesso tempo il suo limite, è il narcisismo. E il narcisismo è una condanna alla solitudine. CR7 non è cattivo. Anzi, chi lo conosce lo racconta come una persona dolce e generosa. Solo che il suo ego è misura di tutte le cose; anche della generosità. Vede in tv un orfano indonesiano con la maglietta del Portogallo tra le macerie di un villaggio devastato dal maremoto, e chiama il suo agente Jorge Mendes: «Jorge, presto, dobbiamo ricostruire un villaggio indonesiano devastato dal maremoto!». La madre viene salvata dal cancro nella sua Madera, e lui chiama di nuovo Mendes: «Jorge, presto, dobbiamo regalare a Madera un nuovo centro oncologico!». Prende il Covid e resta positivo a lungo, e tra una seduta in palestra e una di crioterapia chiama ancora Mendes: «Jorge, presto, dobbiamo donare un milione di dollari alle terapie intensive di Lisbona e Porto!».

E il bello è che lo fa: il villaggio indonesiano – isola di Sumatra, provincia di Aceh – è stato ricostruito; Madera ha un nuovo centro oncologico; i suoi compatrioti malati di Covid possono contare su 35 nuove postazioni in terapia intensiva pagate da Cristiano Ronaldo. È idolatrato; ma non è amato. Ha 509 milioni di follower su Instagram, molti più di Messi, Nadal, Phelps, Bolt tutti insieme; ma la maggioranza dei portoghesi pensa che la Nazionale potrebbe fare a meno di lui. Infatti ieri sera se n’è privata. E quando il sostituto Gonçalo Ramos ha segnato il primo dei suoi tre gol, Ronaldo è stato l’unico a non alzarsi dalla panchina per correre ad abbracciarlo. Si è alzato e ha corso per il secondo gol, del suo amico Pepe. Ma alla fine è apparso un corpo estraneo nella squadra che festeggiava un risultato storico: sei gol alla Svizzera, e avanti da favorita nei quarti contro il Marocco. Recordman di follower e di incassi, ora anche soggetto e investitore di «Token» — un misto tra arte digitale e bene rifugio —, Ronaldo è davvero il campione del tempo che ci è dato in sorte.

A lungo la sua sessualità è stata un mistero: più che donne e uomini, sembrava amare – magari attraverso donne e uomini – se stesso e la propria immagine; come Narciso, appunto. Il primo figlio, chiamato ovviamente Cristiano, l’ha avuto da ragazzo padre: della madre si sono perse le tracce. Poi sono arrivati due gemelli, Eva e Mateo, da madre surrogata, quindi ignota. Infine è entrata nella sua vita Georgina Rodriguez, che gli ha dato Alana Martina e Bella Esmeralda. (Con le donne ha avuto anche qualche problema, risolto a suon di dollari e di avvocati). Ma la vera donna della sua vita è la madre, Maria Dolores, che l’ha cresciuto senza il marito, morto alcolizzato; anche per questo Ronaldo non tocca un goccio di vino.

Il suo passaggio in Italia è apparso quasi immateriale. È venuto, ha visto, ha vinto; ed è sparito. Non ha imparato una parola della nostra lingua. Dopo i guai con il fisco spagnolo, ha approfittato della legge varata dal governo Renzi che di fatto abolisce le tasse per i ricchi stranieri che si trasferiscono da noi. Ha segnato i suoi gol, ha conquistato due scudetti, ma non ha portato la Champions alla Juve; in compenso ha scassato i conti della società, se n’è andato quasi di soppiatto, e ora reclama venti milioni di euro. Se è per questo, quando se ne andò da Madrid fu salutato da un feroce articolo dello scrittore Javier Marias, che da tifoso sosteneva di non averlo mai amato: troppo egocentrico, accentratore, appunto narciso: «Non ha giocato nel Real Madrid, ma nel Real Ronaldo». Nel frattempo Javier Marias è morto; Ronaldo ha un’offerta da 200 milioni di euro netti all’anno, si è preso qualche giorno per pensarci. Nonostante libri, docufilm e migliaia di articoli, CR7 resta un mistero. Si compiace di se stesso, e si commuove per l’inno portoghese. Lo danno per finito, ma a quasi 38 anni è in corsa per vincere — dopo l’Europeo — il primo Mondiale. Forse un po’ più di rispetto, dai portoghesi e da tutti noi che amiamo il calcio, lo merita.

 

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