Mondiale: da Van Gaal a Tite, ct con i nervi scoperti

Enrico Currò ed Emanuele Gamba La Repubblica 9 dicembre 2022
Mondiale: da Van Gaal a Tite, ct con i nervi scoperti
Via ai quarti di finale: Neymar e l’ostacolo Croazia, Messi sfida l’Olanda. Vigilia di tensione tra i tecnici

Ai quarti di finale del Mondiale i ct sull’orlo di una crisi di nervi sono la regola. L’eccezione è tutto il tempo, fatto di mesi e di anni, che precede le partite, se non addirittura quell’unica partita, in cui si decide il destino della loro nazionale. Il commissario tecnico – o seleccionador o treinador o professor o coach o maetro senza la esse, per i sudamericani di lingua spagnola – dietro ha tutto un Paese che lo spinge, però spesso si convince del contrario: è appena successo allo spagnolo Luis Enrique, che dopo quasi quattro anni di idillio si è imbizzarrito alle prime critiche, ha soffocato a fatica l’ira ed è finito eliminato e licenziato. Ma la vera soglia critica è appunto rappresentata dai quarti di finale, che per le grandi nazionali sono lo spartiacque tra la speranza dell’estasi e la constatazione del fallimento.

Argentina, Scaloni e la calma apparente

Capita anche ai più controllati, a quest’altezza del torneo, di perdere un po’ la testa. L’argentino Lionel Scaloni porta lo stesso nome di battesimo di Messi e passa per rasserenatore, però sa benissimo che dopo il duello con l’Olanda non ci saranno mezze misure: o stratega perfetto o assassino del sogno. Così, mentre abbandonava la conferenza stampa per l’allenamento alla Qatar University, l’ex difensore è diventato attaccante sull’argomento per lui più sensibile: la formazione e in particolare l’infortunio muscolare, quanto serio lo si capirà stasera al Lusail Stadium, del centrocampista De Paul. “Sta bene e sta bene anche Di Maria”, ha puntualizzato a beneficio dei media mondiali il Lionel meno famoso, salvo tradirsi poi nel crocicchio dei connazionali: “Scusate, ma l’allenamento era a porte chiuse, vorrei sapere da dove escono certe informazioni: state con l’Argentina o con l’Olanda? I rigori? Certo che li proviamo, ma parlarne al minuto zero non ha senso, nel caso lo faremo al minuto 120”.

Croazia-Brasile e i balletti della discordia

I piani non si svelano mai al nemico. Chi lo fa, anche se il suo mestiere è semplicemente quello di dare informazioni, è un traditore della patria. Questo stesso patriottismo si può brandire per strizzare l’occhio al popolo, se occorre. Il ct del Brasile, Tite, un tipo piuttosto simpatico e capace di sdrammatizzare, per scacciare il fastidio dell’evitabile e indolore sconfitta col Camerun aveva già esaurito la scorta d’indignazione causa fuga di notizie (“falsissime, io dico sempre la verità”) sugli infortuni di Gabriel Jesus e Alex Sandro. Però un quarto di finale è un quarto di finale, soprattutto questo con la Croazia finalista dell’ultimo Mondiale, data anche la statistica: la Seleçao non vince contro un’europea una partita della fase a eliminazione diretta da vent’anni, dalla finale del 2002 con la Germania. Conviene simulare di essere nervosi, anzi infastiditi, per qualcos’altro: le battute altrui, come quella del ct croato Dalic, sui balletti sempre nuovi che i giocatori del Brasile inscenano dopo ogni gol: “Questa non è la mia Seleçao, non appartiene a me.

È la nazionale brasiliana, che io ho la responsabilità di allenare. Non commenterò le parole di chi non conosce la storia e la cultura del Brasile, il nostro modo di vivere. Quei balli rappresentano la nostra cultura, non offendono o screditano nessuno. È il nostro modo di essere. Se devo ballare, ballerò pure io. Dovrei solo allenarmi un pochino”. Il croato Dalic, che è un tipo calmissimo, deve invece provare una certa irritazione al pensiero di quei passi di danza: “Quello è il loro modo di celebrare i gol, festaioli, hanno il loro carattere e il diritto di seguire le loro tradizioni. Non so se quel balletto sia una mancanza di rispetto, io non amerei vedere i miei giocatori festeggiare in quella maniera. Ma cosa volete, sono culture differenti”.

Van Gaal contro Di Maria

Però nessuno come Van Gaal ha dato spettacolo in questi giorni. Lui non è nervoso, lui semplicemente ha deciso di non avere più filtri, se ne infischia delle convenzioni e anzi gode sia del conflitto sia di non infiocchettare le verità. Risponde in maniera sardonica ai giornalisti olandesi che gli rinfacciano di continuo di aver rinnegato i dogmi del calcio totale: li guarda, gli chiede in che mondo vivano e poi risponde che non ha più voglia di perdere tempo per far cambiare idea a gente che non la cambierà mai. Ormai ha una spontaneità, nel bene e male, che nessuno possiede nel rito plastificato delle conferenze: è capace di stampare un bacio sulla fronte di Dumfries o di non farsi remore a replicare a Di Maria, che aveva parlato malissimo di lui: “Dice che sono il peggiore allenatore che abbia mai avuto, ma sono in pochi e pensarla come lui.

A Manchester aveva problemi personali, gli hanno anche svaligiato la casa, alla fine è stato condizionato da questo. Allo United lasciavo in panchina anche Depay, però adesso è qui vicino a me e ci baceremmo sulla bocca, se ce lo permettessero. La realtà è che io non sono cambiato e nemmeno il mio modo di vedere il calcio rispetto ai primi anni dell’Ajax. Ho solo cambiato il modo di rapportarmi con i giocatori: il tempo aiuta, il tempo insegna”. Gli olandesi che sono qui stravedono tutti per lui: senza filtri si respira meglio.

 

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