Fabiana Magrì La Stampa 9 dicembre 2022
Gli ayatollah non arretrano, primo manifestante impiccato: “L’Occidente sta coi terroristi”
Mohsen Shekari, 23 anni, giustiziato per aver bloccato una strada a Teheran. Accuse anche a Pina Picierno. Giallo su Fahimeh: «Non è stata condannata»
Con le mani si copre il volto mentre esplode in un grido straziante e urla il nome del figlio Mohsen. La donna aspettava sue notizie fuori dal carcere dove il ragazzo era detenuto dal 25 settembre, arrestato durante la prima fase delle proteste innescate dall’uccisione di Mahsa Amini. La madre e gli altri familiari di Mohsen Shekari, 23 anni, avevano presentato appello contro la sentenza con cui la magistratura iraniana l’aveva condannato a morte, ma all’alba di ieri hanno ricevuto il messaggio più doloroso: il ragazzo, ritenuto colpevole di “moharebeh”, inimicizia contro Dio, per «aver bloccato una strada, aver estratto un’arma con l’intenzione di uccidere e avere ferito intenzionalmente un ufficiale durante il servizio» è stato impiccato. Alla diffusione della notizia da parte dei media statali iraniani, molte cancellerie occidentali hanno espresso aspre critiche e sconcerto. Nessuna reazione ufficiale ha invece suscitato la smentita della condanna a morte di Fahrimeh Karimi da parte dell’agenzia di stampa semi-ufficiale iraniana Mehr. L’Ufficio per le pubbliche relazioni del tribunale di Pakdasht avrebbe precisato che «il caso è oggetto di indagine, e finora nessuna sentenza è stata emessa».
Quella di Shekari è stata la prima esecuzione di un manifestante di cui si è avuta conferma dalla magistratura iraniana, che ha deliberato la pena capitale per cinque individui. Il direttore della Ong con sede a Oslo Iran Human Rights, Mahmood Amiry-Moghaddam, sollecita «rapide conseguenze pratiche a livello internazionale» per arginare «il rischio di avere esecuzioni di manifestanti ogni giorno». Amnesty International accusa i tribunali iraniani di svolgere «processi gravemente iniqui». La stessa confessione di Shekari, con cui la magistratura ha sostanziato la sentenza, è ritenuta dagli attivisti «forzata» in seguito a torture. Barbarie e atrocità che si sommano a quelle denunciate al Guardian da medici iraniani di varie città del Paese, perpetrate dalle forze di sicurezza iraniane che, durante le manifestazioni contro il regime, sparano alle donne da distanza ravvicinata, colpendole al volto, agli occhi, al petto e ai genitali.
Aspre le critiche dall’Europa e dagli Stati Uniti. «L’Ue è contraria alla pena di morte in ogni circostanza», ha twittato il ministro degli esteri europeo Josep Borrell. Dure condanne sono arrivate da Francia, Germania e Gran Bretagna. Dagli Usa, il portavoce del dipartimento di stato Ned Price definisce l’esecuzione di Shekari «una escalation sinistra del regime». Ma il governo iraniano difende la sua linea durissima, e dal profilo Twitter ufficiale del ministero degli Esteri definisce i propri «metodi antisommossa proporzionati e standard». Ma la reazione non si ferma qui. In una serie di tweet collegati il ministero accusa l’Occidente di «ipocrisia» e di «ospitare, sostenere e incoraggiare i terroristi» e collega alle accuse i profili della la vice presidente del Parlamento europeo Pina Picierno, della ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, e gli account dei ministeri degli Esteri di Francia e Austria.
Il regime non sembra quindi arretrane, nonostante le voci di una possibile trattative con il Venezuela per l’accoglienza dei vertici in caso di «cambio di regime». Ma la prima esecuzione di un manifestante è «una grande scommessa» secondo Parham Ghobadi, giornalista di BBC Persian. Se da un lato potrebbe dissuadere altri dal scendere in piazza, tuttavia – osserva il reporter – «potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio per il regime iraniano, che cerca di incutere paura ma provoca rabbia». Intervistato dal quotidiano riformista Etemad, il professore di sociologia Taghi Azadarmaki ha dichiarato: «Se il sistema punisce i manifestanti, il comportamento delle persone diventerà radicale e la loro pazienza finirà. La notizia di emettere condanne a morte e carceri a lungo termine è pericolosa. Se questa tendenza continua, le persone tenderanno a cambiamenti fondamentalisti».