Affari e geopolitica, Riad come Doha contende a Roma l’Expo del 2030

Gianni Riotta La Repubblica 10 dicembre 2022
Affari e geopolitica, Riad come Doha contende a Roma l’Expo del 2030
L’Arabia Saudita di Mbs vuole l’esposizione: ha già in tasca almeno 60 voti. Pesa la sua capacità di investire nel mondo

 

Il 20 novembre, quando l’arbitro italiano Orsato ha fischiato l’inizio del Mondiale Qatar 2022, un altro derby, di dimensioni storiche, ha preso il via. In tribuna, rompendo il gelo tra il Qatar e l’Arabia Saudita, quattro anni di dispute politiche, sedevano l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani e il principe saudita Mohammad bin Salman al Sa’ud. Missione di bin Salman, Mbs per i columnist, tessere la diplomazia con Al Thani, in cerca di voti per Expo 2030, sognata dal suo Paese.

Sono rimaste in gara, saranno calci di rigore nelle cancellerie fino al novembre 2023, la capitale saudita Riad, il porto sudcoreano di Busan, la città martire ucraina di Odessa e Roma. “Organizza la votazione il “Bureau International des Expositions”, Bie, 170 paesi membri, sede a Parigi, segretario generale Dimitri Kerkentzes -spiega un diplomatico europeo- i sauditi dichiarano di avere fra 60 e 66 voti in tasca, la vostra premier Giorgia Meloni e il sindaco Roberto Gualtieri hanno un match tosto”.

Expo vale, secondo uno studio Luiss, 45 miliardi di euro per l’indotto su Roma 2030-2035, e del resto Milano Expo 2015, guidata dall’attuale sindaco Beppe Sala, è stata fulcro della ripresa come metropoli Ue. Bin Salman ha fatto redigere un rapporto “Visione 2030” in cui disegna Riad, dopo il petrolio, da fucina di eventi, turismo, business, con Neom (Nuovo Futuro), città utopica, area più vasta della Lombardia, 26.500 km2 a nord del Mar Rosso, che sorgerà dal nulla grazie a 600 miliardi di investimenti.

La Francia di Macron, la Cina di Xi, la Grecia hanno già deciso di votare Arabia Saudita, ma l’arcana regola Bie assegna a ciascun paese un voto, i 300.000 abitanti delle Isole Vanuatu, nel Pacifico, contano quanto il miliardo e 400 milioni di indiani. Per di più il suffragio è segreto e, in passato, scelte dei governi sono state disattese, all’ombra delle urne da funzionari scaltri: Mbs voleva dunque voto palese, invano.

L’irruenza qatariota al Mondiale, azzerando riserve su diritti umani e rispetto delle regole via dispendio di capitali, ha sollevato aspre critiche internazionali, e la strategia di bin Salman punta a azzittire le possibili obiezioni evocando il passato coloniale Usa e Ue. L’Albania, sul punto di votare Roma, è stata ricondotta a diverso parere, con seguito di polemiche politiche. Il principe saudita ha poi portato la battaglia in casa degli avversari coreani, radunando nella sua suite all’hotel Lotte di Seul, il 17 novembre, i dirigenti di industria per ammonirli: se Chey Tae-won, manager delegato a raccogliere consensi per Expo Busan, si darà troppo da fare, sono a rischio 29 miliardi di investimenti sauditi, inclusi quelli per la megalopoli Neom. Intimidito dalla presenza del principe saudita, il primo ministro coreano Han Duck-soo non ha neppure appoggiato la candidatura di Busan all’Apec, forum dell’Asia-Pacific Economic Cooperation per la sorpresa degli astanti.

Dal Qatar la nostra diplomazia, guidata dall’ambasciatore Paolo Toschi, sta lavorando con efficacia, di conserva con la Farnesina, e un imprenditore italiano, attivo a Doha, deduce “I voti raccolti dai sauditi hanno due possibili etichette, Geopolitica o Affari. Cina, Francia, Emirati, Turchia, Egitto, Pakistan, Indonesia rientrano nella prima categoria; Cuba, Perù, Kenya, Nigeria, Venezuela nella seconda”. A Parigi, al Bie, il pallottoliere registra il presidente di Capo Verde, Jose Maria Neves, che dopo incontri stile Hotel Lotte, si dichiara per Riad, come l’ambasciatore cubano Gonzalez, folgorato dal ministro saudita Adel Al-Jubeir, mentre per convincere Macron è servito bin Salman. Il sì del Madagascar arriva nella capitale Antananarivo, summit fra il consigliere della Casa Reale saudita Ahmen vin Abdulaziz Qattan e il ministro della Difesa e degli Esteri Léon Rakotonirina. La nazione polinesiana di Tonga cede il voto grazie al ministro degli esteri Fekitamoeloa ‘Utoikamamu e al ministro del turismo Ahmed Al Khateeb.

Tecnologia, emigrazione, Neom, greggio, tutto è sul tavolo fra Sauditi-Resto del Mondo. Odessa, fredda e buia per i bombardamenti, offre un meraviglioso padiglione dell’architetta Zaha Hadid e l’Italia le offre una sinergia. Roma ha il Codacons, che denuncia al Bie “immondizia e buche stradali”, e legge sul Giornale dell’Architettura Fiorella Vanini, docente alla Prince Sultan University, a proposito di “Rivoluzione socio-economica…” di bin Salman “…progetti visionari… la Princess Nourah bint Abdulrahman University, la più grande università femminile al mondo… Neom ha l’ambizione di superare la dicotomia uomo-natura… il principe Mbs non ha perso di vista l’immagine della capitale del regno, che da roccaforte dei conservatori… si è trasformata in cuore pulsante del paese”, toni già usati dal columnist New York Times Tom Friedman che, nel 2017, era certo “il processo di riforme più importante in Medio Oriente oggi è in Arabia Saudita… il paese sta vivendo la sua primavera araba… per cambiare tono e tenore dell’Islam nel mondo”. Mondo che non conosceva il nome di Jamal Khashoggi, blogger trucidato al consolato saudita di Istanbul, undici mesi dopo il lirico commento di Friedman.

Se i voti sauditi Expo 2030 divenissero maggioranza, quanti affari, quanti accordi, quanta propaganda snob strideranno davanti alle violazioni dei diritti umani, come questi paragrafi? Non sarebbe meglio negoziare, e ragionare fin che si può, al “Bureau International des Expositions”?

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