Con il Marocco sognano tutta l’Africa e il mondo arabo

Karima Moual La Stampa 11 dicembre 2022
Con il Marocco sognano tutta l’Africa e il mondo arabo
Questa nazionale è il riscatto di un continente e di una comunità troppe volte sconfitti. E dietro questo orgoglio ritrovato c’è la forza che li fa andare oltre i limiti

«Anche noi possiamo sognare. E perché no, sognare in grande». Il Marocco ci ha creduto davvero ed è andato sempre più avanti, in un crescendo di gioia ed entusiasmo, in questo mondiale, firmando ogni volta una nuova pagina di storia. Una pagina da vincitori, e non da vinti, seppur in campo calcistico. La vittoria sulla Roja, la Spagna, ha aperto alla nazionale marocchina le porte ai quarti di finale. Ieri sera è stata la volta del Portogallo, quella di CR7, il temibile Ronaldo, idolo anche per moltissimi tifosi arabi, che questa volta è uscito dal campo con le lacrime. «Non contano i nomi, il Marocco va in semifinale con merito. È una grande nazionale». Sono le parole del calciatore portoghese Bruno Fernandes, che riconosce con onestà, la forza di una squadra sconosciuta ai più.

Contro ogni pronostico, i nipoti di quei leoni dell’Atlante che abbiamo imparato a conoscere per la prima volta nel mondiale dell’86 ci hanno sorpreso ed esaltato. Il Marocco si è fermato in religioso silenzio, a seguire la storia, una storia questa volta tutta sua, da Tangeri a Marrakesh, Casablanca, Rabat, nel Rif a Ouejda e i piccoli villaggi nell’entroterra tra quelle montagne che hanno dato il nome alla squadra marocchina fin dalle sue prime partite negli anni Ottanta: I Leoni dell’Atlante. Ma l’onda marocchina è anche la sua diaspora, numerosa, ovunque nel mondo, come in Italia, che ne conta quasi cinquecentomila, tra le prime comunità di immigrati. Tutti con il fiato sospeso. Perché sappiamo che è più che una partita. Questo mondiale è una sfida e una rivalsa, che accende l’orgoglio marocchino, arabo e africano.

Dietro all’avanzata della nazionale del Marocco, c’è un’energia incredibile, che risulta inspiegabile soltanto a chi non conosce quel che può significare provenire da un Continente come l’Africa, che giustamente al Marocco si stringe, e ciò che significa essere un Paese con una importante diaspora di immigrati in tutto il mondo, che ha riempito le capitali estere con i caroselli nelle strade, da Sud a Nord, con le bandiere del Marocco, e infine l’appartenenza alla comunità araba. Tutti elementi che in sinergia si traducono in una parola sola. Fame di vittoria. Una fame così intensa e viscerale che esclude la paura e scatena una forza incredibile, perché si percepisce con mano che “l’arrivo” non è solo quello di una squadra, ma quella di una intera comunità importante con tutti i suoi simboli, le sue ferite e le sue sconfitte, e che oggi può orgogliosamente essere fiera di fronte al mondo.

Questo complicato sentimento, intrecciato come una ragnatela, è un’onda crescente che abbiamo potuto sentire dagli spalti del Qatar in ogni partita. Siiir, Siiir, Siiir (vai, vai, vai) intonano i tifosi in dialetto marocchino. Un’onda rossa e verde che ha riempito gli spalti e ininterrottamente ha tifato la sua squadra nell’incredulità dei cronisti occidentali che hanno dovuto anche loro scoprire la forza di un sogno, quello del Marocco.

Non c’è niente da fare. Il Mondiale del calcio è un brivido che scava nell’inconscio e scatena emozioni e sentimenti viscerali. Al di là del tifo arabo, che, orgoglioso, sente di avere un pezzo di sé in campo. È il primo Paese arabo nella storia ad arrivare in semifinale. Vince sul Portogallo, e spinge ancora più in là, la voglia di arrivare, perché la verità è che quei calci al pallone sono più di una partita, ed emergono dal coro che si espande insieme al tifo che come un grande cerchio riesce ad arrivare a toccare la parte più profonda dell’anima.

Quella di un popolo, certo, ma anche di un continente, l’Africa, e di una comunità, quella araba, islamica. Non è casuale la bandiera palestinese innalzata dai giocatori in più partite. Con gli accordi di Abramo, il Marocco ha ristabilito i suoi rapporti con Israele, dove risiede una delle comunità ebraico-marocchina tra le più numerose, che anche qui si unisce al tifo mettendo d’accordo per una volta israeliani e palestinesi, almeno sul calcio.

Ecco, per sentire il sapore di tutto questo, bisogna seguire i telecronisti arabi, che non so ancora perché, ma rispetto ad altri sono quasi degli esseri mitologici per il modo e il tono nel gestire le partite. Una cronaca che diventa un fuoco che arde. Sin da subito hanno cavalcato con forza la squadra che più di altre è sembrata dire che è il momento di alzare la testa. I Leoni dell’Atlante, una partita dopo l’altra, danno speranza, tirandosi dietro sempre più tifosi. Sentono che forse è la volta buona, quella di potersi sfamare con una vittoria, per un continente e una comunità che hanno perso troppe battaglie, e che hanno maledettamente bisogno di vincerne almeno una, perché forse gli farà anche bene.

 

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