I Bonus sostituiscono lo stato sociale, monetizzare gli aiuti

Gaetano Lamanna il manifesto  15 luglio 2022
Se la politica dei bonus prende il posto dello Stato sociale
Alle amministrative del 12 giugno ha votato solo il 28 per cento degli elettori a basso reddito. È una forma di protesta contro le istituzioni


Nelle recenti elezioni comunali oltre metà degli aventi diritto non ha votato. Ma l’astensionismo non coinvolge in egual modo tutti i cittadini. Una ricerca dell’Istituto Tecnè mostra il legame esistente tra motivazione al voto e condizione sociale. Così veniamo a sapere che il 12 giugno, alle amministrative, ha votato solo il 28 per cento degli elettori a basso reddito. La percentuale sale al 63 per cento tra i redditi medi e balza al 79 per cento tra i redditi alti. Chi sta meglio manifesta, dunque, una maggiore propensione al voto. Chi sta peggio ritiene inutile recarsi al seggio. Tra astensionismo e marginalità sociale, insomma, c’è correlazione. La classe sociale di appartenenza ha un peso rilevante nella partecipazione al voto e la questione non si risolve (solo) modificando la legge elettorale, come si vorrebbe far credere. Nell’ottica di chi sta in basso nella scala sociale e vede che non cambia nulla, il voto rappresenta una perdita di tempo, il non voto diventa una forma di protesta contro le forze politiche e le istituzioni in toto.

L’ultimo rapporto Istat, ci parla di condizioni di difficoltà e di povertà crescenti. Caro-vita e caro-energia, sommati al costo dell’affitto o del mutuo, stanno sconvolgendo il fragile equilibrio finanziario di milioni di famiglie. Basta poco, una malattia imprevista o la perdita del posto di lavoro, perché una famiglia monoreddito scivoli in povertà assoluta. Questo è lo stato di fatto: donne, giovani, lavoratori sopravvivono con lavori precari e salari di fame, i più bassi d’Europa, fanno i conti ogni giorno con un Welfare scassato e subiscono sulla propria pelle discriminazioni e ingiustizie. A questo punto sorge il dubbio che i decreti – Sostegni, Ristori, Aiuti – finanziati con 200 miliardi di scostamenti di bilancio (maggiore debito pubblico), siano stati concepiti male e spesi peggio.

In effetti, in Italia, le cose, non vanno male per tutti. C’è chi soffre per le ristrettezze economiche e chi, invece, scialacqua con i soldi pubblici. Il problema sta tutto qui. Ai benestanti, senza un battito di ciglia, il governo distribuisce 33 miliardi di «superbonus» per ristrutturare prima e seconda casa, ai poveri le briciole. La politica dei bonus prende il posto dello Stato sociale. E dopo trent’anni di pax salariale, di conflitto sociale moderato o inesistente, ci ritroviamo con processi di redistribuzione che risultano del tutto sganciati dai reali bisogni, seguono l’interesse dei più forti e contorti percorsi clientelari ed elettoralistici. Ci sono figli e figliastri. Con la manovra di bilancio e i provvedimenti fiscali, il governo Draghi, nel pieno di una crisi drammatica, è riuscito nell’operazione di tutelare profitti, rendite, patrimoni e posizioni di privilegio, trascurando i redditi da lavoro. Non ci potrebbe essere smentita più clamorosa della teoria (liberista) dello «sgocciolamento» (trickle-down). C’è poco da stupirsi, dunque, per il crescente astensionismo. Gli esclusi e i perdenti continueranno a disertare le urne, mentre i ricchi, i vincenti, anche gli evasori, andranno a votare, eccome, per le forze di destra.

Il Pd, nel ruolo di sentinella del governo Draghi, non sembra interrogarsi abbastanza su come recuperare al protagonismo sociale e democratico quel 72 per cento di cittadini a basso reddito che non va a votare. Si culla nel successo elettorale del centrosinistra alle amministrative di giugno. Eppure, la sorpresa positiva dei candidati «civici» di Verona e Catanzaro dovrebbe rafforzare, non ridurre, l’urgenza di una riflessione critica sulle ragioni dell’astensionismo. La vittoria in città storicamente difficili e moderate è da attribuire, infatti, più a un rapporto positivo con l’opinione pubblica dei neo-sindaci Damiano Tommasi e Nicola Fiorita, che non a particolari meriti del Pd locale. Il 7 per cento del Pd a Catanzaro, anzi, segnala una grave frattura politica, culturale e sociale con la città, oltre che con i segmenti più deboli della società. Viene espugnato il municipio ma il Pd registra un crollo di consensi.

Nel modo in cui è maturata la vittoria dei neo-sindaci di Verona e di Catanzaro c’è l’indicazione da seguire. Tommasi e Fiorita non hanno creduto nei sondaggi, all’agorà digitale e mediatica hanno preferito le piazze reali, si sono impegnati con i cittadini per servizi più efficienti, per una maggiore cura del territorio e dell’ambiente, per farla finita con l’opacità amministrativa nella gestione dei beni comuni e delle concessioni pubbliche.

Il ritorno al territorio – la politica fra la gente – è, dunque, la chiave di volta per la ripartenza della sinistra e per costruire un’alleanza democratica, ecologista e socialista, non un generico campo largo. Sul territorio si incrociano questione sociale e questione ambientale, è possibile calarsi nei problemi concreti, rintracciare un ricco capitale umano e sociale, oggi disperso, rassegnato e ininfluente, ma disponibile, se sollecitato, a mobilitarsi e a lottare. Fare politica sul territorio è l’unico modo per sconfiggere la sfiducia, la rassegnazione e l’astensionismo. E per provare a vincere.

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