Centrodestra, Sindrome Michetti

Flavia Perina La Stampa 12 dicembre 2022
Centrodestra, Sindrome Michetti
A due mesi dalle elezioni nel Lazio non c’è ancora il nome del candidato. I sondaggi sono buoni ma c’è il dubbio meglio un outsider o l’usato sicuro

 

Potremmo chiamarla Sindrome Michetti. È il motivo (praticamente ufficiale: lo dicono tutti) per cui a due mesi dalle elezioni nel Lazio, favorito da sondaggi super-vincenti, il Centrodestra ancora non ha un nome da incoronare per la Pisana. Fratelli d’Italia, a cui tocca l’investitura visto che in Lombardia ha deciso la Lega e in Sicilia Forza Italia, a poco più di un anno dalla campagna per il sindaco di Roma si trova davanti allo stesso bivio e alla stessa domanda di allora: siamo abbastanza forti, siamo abbastanza avanti per incoronare un oustider, oppure è meglio scommettere sull’usato sicuro?

Nell’ottobre 2021 prevalse la prima ipotesi, e si sa come è finita. Enrico Michetti, il tribuno, il capo-popolo radiofonico, il «Michetti chi?» celebrato dai manifesti come il possibile Signor Wolf della Capitale (»Sono Michetti, risolvo problemi») affondò se stesso con una campagna squinternata fatta di citazioni latine e colossali gaffe. Persino la sinistra ne restò spiazzata: si erano preparati a contrastarlo rinfacciandogli la fascisteria di certe vecchie dichiarazioni sulla Shoah e il Terzo Reicht, ma la cronaca quotidiana delle sue figuracce si mangiò ogni discussione sul tasso di democrazia del candidato. Prevalse l’idea di seppellire di risate i suoi macchiettistici elogi della Roma degli imperatori, le sue fughe dai duelli televisivi, il suo «algoritmo giurimetrico» che avrebbe risolto ogni problema della Capitale. Insomma, lo lasciarono fucilarsi da solo. Alla fine, persino i militanti di destra più disciplinati fecero fatica a votarlo.

Ma la Sindrome Michetti si innesta anche su altri tipi di insicurezze, altri precedenti fastidiosi, perché pure quando ha vinto – e nel Lazio ha vinto moltissimo – la destra non è mai riuscita a incardinare quel tipo di supremazia egemonica che sentiva di meritare. Insomma: non è mai riuscita a fare del Lazio la sua Emilia Romagna. I suoi leader sul territorio, Francesco Storace prima e Renata Polverini poi, mai sono riusciti a conquistarsi il secondo mandato, così come il sindaco Gianni Alemanno, eletto a furor di popolo nel 2008 e scalzato cinque anni dopo da Ignazio Marino, un “marziano” che non sembrava avere alcuna possibilità.

Non solo. Ogni volta che non c’era un uscente da difendere, la scelta del candidato ha coinciso con una qualche crisi interna e con fatali duelli non solo tra alleati ma anche tra correnti interne e tra fazioni delle medesime correnti. Risultato, il proliferare di liste di disturbo che hanno sciupato la possibile festa anche quando sembrava a portata di mano. Per dirne una: forse non avremmo avuto Nicola Zingaretti governatore del Lazio se nel 2018, con il favore della Lega, l’ex-sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi non fosse sceso in campo rubando un quattro per cento decisivo al candidato del centrodestra Stefano Parisi. E chissà come sarebbe finito nel 2016 il possibile duello tra Guido Bertolaso e Virginia Raggi, che non vedemmo mai perché Matteo Salvini e Giorgia Meloni tagliarono in extremis la strada all’ex capo della Protezione Civile, temendo l’affermarsi di una nuova star a destra.

Ecco, il problema nel Lazio (ma non solo, e non solo a destra) è che alla Sindrome Michetti si associa un’altra patologia meno raccontata, perché se gli outsider sono sempre un punto interrogativo quegli altri, quelli che sono conosciuti, quelli che hanno una faccia facile da identificare per le loro lunghe biografie politiche o amministrative, presentano criticità altrettanto temute. Un nome molto noto della destra romana, Teodoro Buontempo, stimato animatore dell’opposizione missina in Campidoglio e mentore di due generazioni di militanti, spiegava così il pericolo connesso al successo degli insider: «Se fai crescere troppo qualcuno, rischi che ti faccia le scarpe».

Così, l’elenco dei potenziali candidati della destra alla Presidenza del Lazio deve tener conto non solo della Sindrome Michetti ma anche della Regola Buontempo. Nel team outsider risultano al momento Paolo Trancassini, Francesco Rocca e Chiara Colosimo, rispettivamente ex-sindaco di Leonessa, presidente della Croce Rossa e neo-eletta alla Camera dopo cinque anni di ruvida opposizione in Regione. Nel team insider un solo nome, Fabio Rampelli, con un lunghissimo curriculum politico e istituzionale e una riconosciuta capacità di costruire campagne elettorali. La scelta definitiva sarà annunciata a breve, nella grande festa di Atreju che celebrerà i dieci anni di Fratelli d’Italia. Sarà la prima “Atreju di governo” di Giorgia Meloni e della sua classe dirigente. Aiuterà a capire (oltre al resto) se la conquista di Palazzo Chigi ha cambiato le dinamiche della destra e in quale direzione, se ha prevalso la Sindrome Michetti o la Regola Buontempo.

 

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