Il garantismo e la mutazione genetica del Dna della sinistra

Davide Varì il Dubbio 11 dicembre 2022
Il garantismo e la mutazione genetica del Dna della sinistra
Con Tangentopoli la sinistra si è consegnata alla magistratura, affidandole il compito di “liberare il paese” dalla vecchia classe dirigente democristiana e socialista. Ma le cose sono andate diversamente…

 

 

Difficile dire, come ha suggerito il nostro Aldo Varano, se la sinistra italiana − o quel che ne è rimasto − abbia un Dna garantista. A dire il vero la nostra impressione è che dal ’92 la mutazione genetica sia da considerarsi definitiva e irreversibile.

Con Tangentopoli, la sinistra si è infatti consegnata alla magistratura, affidandole il compito di “liberare il paese” dalla vecchia classe dirigente democristiana e socialista, nell’illusione di diventare egemone e forza di governo. Ma per una non infrequente eterogenesi dei fini, le cose sono andate molto diversamente: la sinistra ha infatti assistito impotente alla nascita della seconda Repubblica e alla irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi.

Ma la lezione evidentemente non è bastata: con Berlusconi a palazzo Chigi, la sinistra decise di confermare il vecchio schema di gioco, sperando ancora una volta di arrivare al potere per via giudiziaria. La storia è nota: anche in quel caso non andò benissimo e, pur non senza qualche “inciampo giudiziario”, Berlusconi è riuscito a governare per 16 anni. Ma i fallimenti politici di allora sembrano aver insegnato davvero poco. E così il Pd, e i partiti alla sua sinistra, anche oggi replicano in modo coattivo lo stesso identico modello politico-giudiziario. Un esempio? La gestione del caso Aboubakar Soumahoro.

Il sindacalista “colpevole” di avere una moglie indagata − e sottolineiamo indagata − ha subito un vero e proprio processo sommario da parte dei suoi e una gogna mediatica degna del mostro di Firenze da parte dei giornali di area. E, così, in spregio ai più elementari principi dello stato di diritto, Soumahoro è stato costretto ad autosospendersi dal partito.
Ma la prova che la tentazione giustizialista è sempre in agguato, sta anche nelle reazioni scomposte alle ultime proposte del ministro Nordio. Intendiamoci, ci rendiamo conto che dopo decenni di deriva giustizialista, quel che propone il guardasigilli possa apparire scandaloso, eretico, sconcertante. Eppure, in un paese normale, lì dove potere politico e politico giudiziario marciano separati, sarebbero considerate proposte di assoluto buon senso, quasi scontate. Dovrebbe dunque apparire scontata una riforma che argini l’uso selvaggio di intercettazioni, spesso del tutto inutili sul piano processuale ma utilissime a massacrare la vita delle persone e ad azzerare intere carriere politiche; come dovrebbe essere scontata l’istituzione di un’Alta Corte in un paese in cui il 99% dei disciplinari a carico dei magistrati finisce con una assoluzione. O vogliamo parlare dell’obbligatorietà dell’azione penale, vero strumento di arbitrio delle procure?

Insomma, parliamo di riforme liberali e di assoluto buon senso che solo qui da noi, in un paese in cui la giurisdizione è deragliata, possono essere lette come liberticide. Eppure, loro, i magistrati − o meglio l’avanguardia più politicizzata dei magistrati − si sono immediatamente ricompattati (altro che correntismo) e hanno accusato il ministro di voler assoggettare le toghe al potere politico. Ipotesi del tutto risibile e fantascientifica. E non a caso il Pd ha perso un’altra occasione per spezzare quell’abbraccio mortale, e si è accodato alle bordate dei magistrati. Ulteriore prova della mutazione del suo dna, le cui tracce di garantismo sono sempre meno rintracciabili…

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.