Il mondo dei tre Internet

Maurizio Molinari La Repubblica 11 dicembre 2022
Il mondo dei tre Internet
Stati Uniti, Cina e Unione Europea: il web è una realtà globale ormai divisa in aree diverse, che possono generare attriti

 

Le polemiche innescate negli St ati Uniti dall’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk, le proteste degli studenti cinesi contro Xi e l’applicazione delle norme europee sulla privacy digitale descrivono Internet come una realtà globale che è oramai divisa in tre aree assai differenti, che possono generare forti attriti.

Negli Stati Uniti il sistema di Internet si basa su due principi-cardine: il Primo Emendamento della Costituzione, che tutela la libertà di espressione, e una regolamentazione federale molto leggera. Questo spiega perché all’inizio non prevedeva imposte, perché è cresciuto come strumento per il libero scambio di opinioni e perché si basa su una norma – la Section 230 – che protegge aziende come Facebook e Twitter dai rischi connessi alla pubblicazione di contenuti dei loro users.

Non vi sono dunque leggi o agenzie federali che tutelano la privacy digitale degli americani – anche quando si tratta di informazioni sensibili come i dati sanitari – sebbene alcuni Stati, dalla California al Connecticut, stiano tentando di introdurle a livello locale.

A scuotere questa situazione in America è stato prima il rovente finale di presidenza Trump, con l’assalto a Capitol Hill e il mancato riconoscimento della vittoria di Biden a colpi di fake news, ed ora l’acquisto di Twitter da parte di Musk perché si accompagna ad una liberalizzazione dei contenuti tale da riproporre la situazione di emergenza.

Da qui il confronto aspro fra i liberal – che denunciano il dilagare sui social di razzismo, misoginia, omofobia e negazionismo – e i conservatori che temono una restrizione della libertà di opinione sancita dal Primo Emendamento.

È uno scontro che terrà banco nel nuovo Congresso, eletto con il voto di Midterm, e può segnare la campagna presidenziale del 2024 anche perché, come osserva la psicologa-sociale Shoshana Zuboff, tocca alle fondamenta il “capitalismo della sorveglianza” sul quale si fonda il boom della Silicon Valley. Ovvero, la possibilità per le grandi corporation americane di trattare “senza limiti” come “propri dati primari” le “esperienze private degli essersi umani”.

Se è vero che Internet nasce negli Stati Uniti – grazie ad un progetto dell’agenzia di ricerca Darpa del Pentagono – il modello che ha generato garantisce dunque una valanga di innovazione e profitti ma si basa su una estrema debolezza di regolamenti e privacy.

La Cina è l’esatto opposto degli Stati Uniti perché anche qui abbiamo ingenti profitti delle aziende digitali e uno sviluppo dell’hi-tech in grado di competere con i rivali americani – ad esempio nell’Intelligenza artificiale – ma il controllo del Partito comunista cinese (Pcc) su ogni aspetto delle comunicazioni è assoluto, asfissiante.

Qualsiasi visitatore in Cina se ne accorge rapidamente quando, aprendo il web, fa le ricerche non su Google ma su Baidu, gli acquisti non su Amazon ma su Alibaba e TaoBao, gli incontri privati non su Tinder ma su Momo o Tantan, e la vita social non su Twitter o Facebook bensì su Weibo, QQ e l’ultrapopolare WeChat.

Tutto questo avviene grazie al Great Firewall, la super-muraglia digitale che Pechino ha creato attorno al proprio web, separandolo dal resto del globo. Nell’Internet cinese l’anonimato non esiste, ogni utente è tracciato, ogni comunicazione identificata ed ogni azienda digitale è responsabile per i contenuti postati dai propri users. E quando un singolo, magari solo per errore, posta dei contenuti “inappropriati” viene convocato per “una tazza di tè” da un ufficiale della sicurezza che gli spiega senza mezzi termini “l’errore fatto”.

Tutto ciò spiega perché, dopo il recente XX Congresso del Pcc il web cinese sia stato inondato di commenti positivi sul leader Xi Jinping: talmente tanti e talmente assoluti da aver innescato un inedito effetto contrario, come le proteste a Pechino e Shanghai contro le restrizioni anti-Covid durante le quali vi sono state contestazioni proprio contro la persona di Xi.

Insomma, se i dati dei cittadini negli Stati Uniti sono facile preda delle grandi corporation digitali, in Cina vengono sfruttati senza limiti dal regime. Da qui la diversità del modello europeo dove dal 2016 il Regolamento per la protezione dei dati generali (Gdrp) rafforza la privacy e limita il “capitalismo della sorveglianza”, ponendo seri limiti alle piattaforme nello sfruttamento dei dati privati.

Non solo, ma l’Unione Europea è impegnata ad approvare leggi Antitrust e codici per ridurre il potere delle grandi piattaforme, limitare la disinformazione e la quantità di odio e razzismo online. Ad esempio, con il recente Digital Service Act la Ue impone alle maggiori piattaforme regole severe per aumentare trasparenza e responsabilità.

Il risultato è che un utente di Google o Facebook in Europa gode di più diritti e protezioni di un uguale utente negli Stati Uniti, per non parlare ovviamente della Cina popolare. E ancora: il Gdpr dell’Ue prevede che i giganti digitali – anche quelli Usa – possano essere multati fino al 4 per cento delle loro entrate annuali se violano le regole vigenti. Ad esempio, nel 2019 la Francia impose a Google una multa di 57 milioni di dollari per il mancato rispetto delle norme sulla pubblicità.

L’esistenza di questi tre modelli diversi di Internet è una fonte di novità a pioggia con conseguenze difficili da prevedere. Basti pensare che la Cina ha creato assieme alla nuova Via della Seta una Digital Silk Road che consente a Paesi in via di sviluppo che ricevono aiuti e investimenti di entrare nell’Internet di Pechino – almeno 18 nazioni lo hanno già fatto – mentre il modello europeo ha spinto più Paesi – dal Giappone al Brasile, dalla Gran Bretagna al Kenya – ad adottare protezioni davvero molto simili.

Infine, ma non per importanza, ci sono i conflitti della Tech Cold War, la rivalità globale nell’hi-tech fra Usa e Cina: quando Washington si è trovata davanti a Huawei, l’azienda cinese leader nelle telecomunicazioni 5G, ha capito di non disporre di una tecnologia competitiva – le alternative europee Nokia ed Ericsson erano troppo care – e dunque ha condotto un’aggressiva campagna globale contro questo provider cinese. Riuscendo a tenerlo lontano dai propri confini e interessi.

Ora uno scenario simile potrebbe ripetersi nei confronti di TikTok perché il più popolare dei social network è made in China e la sua app consente l’accesso ai dati del cellulare grazie ad una tecnologia che resta inviolabile per gli occidentali.

Ciò significa che TikTok potrebbe spiarci, raccogliere dati e immagini su ognuno di noi, a dispetto delle migliori protezioni cyber esistenti in Usa e Ue. Ecco perché dobbiamo abituarci a convivere con differenze e rischi di un mondo digitale oramai suddiviso in tre Internet.

 

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