Marocco e Qatar. L’oppio dei popoli diventa il teatro del riscatto

Emanuela Audisio La Repubblica 12 dicembre 2022
Marocco, che sorpresa. In cattedra una lezione dello sport al mondo che cambia
Bisogna decidersi: il calcio (e lo sport) non erano l’oppio dei popoli? E allora perché è diventato l’eccitante della nostra società? Capace con il suo gioco di risvegliare coscienze e identità.

 

 

O più semplicemente il pallone è quello che è sempre stato: un grande romanzo popolare capace di raccontare quello che siamo, saremo e siamo stati? Tradizioni e cambiamenti.

Diciamo che dietro al Marocco c’è un mondo (arabo-africano-islamico), con l’inquietudine di chi si accorge che il calcio dà visibilità e titolarità a chi spesso nella nostra società è costretto all’ombra e alla panchina.

Siamo sorpresi: eravamo i maestri, oggi invece in cattedra ci sono loro. E viviamo la novità con fastidio. Ci interroghiamo sul concetto di patria, esistenziale e sentimentale, quando il mondo scappa, emigra, si sposta (per fame, per guerre, per necessità), evidenziando che 14 ragazzi del Marocco sono nati all’estero: Bounou in Canada, Amrabat, Aboukhlal, Ziyech e Mazraoui in Olanda, Chair, Amallah, El Khannouss e Zaroury in Belgio, Cheddira in Italia, Hakimi e Munir in Spagna, Boufal e Saiss in Francia, come il ct Regragui. Ma ci dimentichiamo che il francese Just Fontaine, recordman di gol segnati (13) in un Mondiale (1958) era nato proprio a Marrakech, Marocco, da padre normanno e madre spagnola. E che nella nazionale croata, Lovren è stato partorito nell’attuale Bosnia, Kovacic in Austria e Pasalic in Germania.

Moriamo dalla voglia di dire che le partite sono un riscatto dei colonizzati, che il gol di testa di En-Nesyri al Portogallo, fatto ad un’altezza record di 2,78 metri (Ronaldo arrivò a 2,50 contro la Samp), vendica torti e guerre, una specie di Italia-Germania 4-3, ma ignoriamo che in realtà il ct Regragui, nato a Parigi, quando si esprime in arabo viene ripreso dai suoi genitori per gli strafalcioni. E che Sofiane Boufal, originario di Meknes, davanti all’intervistatore che gli parla in arabo, lo guarda stranito e gli chiede: in francese, per favore. Più che altro è un confronto post-coloniale. E generazionale: la madre di Boufal che festeggia in campo con velo (e mascherina), il bambino del portiere Bounou che tira calci al pallone, mentre contro la Spagna era scesa per un bacio la mamma, sempre velata, di Hakimi. Uniche donne, finora, a comparire in questo Mondiale (a parte la solitaria arbitra Frappart).

Se questa Africa del Maghreb viene riconosciuta come propria e condivisa da tutto il mondo arabo e islamico (mentre guarda caso proprio ora ai Mondiali si scoprono mazzette by Qatar e Marocco al Parlamento europeo), nessuno nega che la qualità tecnica e tattica dei giocatori sia maturata nel vecchio continente: in Premier League, nella Liga, nella Ligue 1, nella Serie A, nella lega turca e belga. Hanno imparato e in Marocco hanno trovato chi ha creduto e finanziato un progetto (di accademia), uno sviluppo, offrendo anche assistenza per i problemi di famiglia (il rimpatrio della salma di un genitore). E se un giorno lo sport insegnasse che si può dare un futuro ai giovani anche in altri campi, rafforzando altri muscoli?

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.