Nella nuova mappa le 5 Italie della diseguaglianza

Tonino Perna il Manifesto 13 dicembre 2022
Nella nuova mappa le 5 Italie della diseguaglianza
Dalle “Tre Italie” di Arnaldo Bagnasco degli anni ’80 siamo progressivamente passati ad una ulteriore disarticolazione territoriale che ci porta a disegnare Cinque Italie

 

L’indagine sulla «qualità della vita nelle province italiane 2022» de Il Sole 24 ore aggiorna una classifica spesso letta come si fa con le squadre di calcio. Chi sale e chi scende, di quanti punti in graduatoria. Senza considerare trend di medio-lungo periodo. Inoltre, e va precisato, la “qualità della vita” è una variabile soggettiva che andrebbe scorporata per classi sociali, per sensibilità culturali, ed è, in fin dei conti, come la “felicità”, impossibile da misurare esattamente. Diciamo che questa indagine del Sole 24 ore ci offre un interessante quadro socio-economico e istituzionale delle province italiane. Osservando l’andamento dei principali indicatori nell’ultimo decennio, possiamo cogliere un articolazione territoriale del nostro paese che viene confermata negli ultimi dati disponibili. Possiamo affermare che dalle “Tre Italie” di Arnaldo Bagnasco degli anni ’80 siamo progressivamente passati ad una ulteriore disarticolazione territoriale che ci porta a disegnare Cinque Italie.

La prima, per ordine d’importanza economica, è l’Italia di Nord-est che comprende Lombardia, Veneto, Friuli V.G, Emilia Romagna, non a caso le regioni che chiedono con più forza l’autonomia finanziaria. La seconda è l’Italia del Centro-Nord- Ovest che comprende Piemonte, Liguria, Toscana e Umbria, un’area in declino con difficoltà a resistere alla concorrenza internazionale e alla crisi economica degli ultimi anni. La terza è l’Italia del Centro che comprende Marche, Lazio, Abruzzi e Sardegna, con alcune enclave provinciali, in positivo o negativo, in ciascuna regione. Per esempio tra le province sud e quelle del Nord del Lazio, tra Sud-Sardegna e la provincia di Cagliari o Sassari, ecc. Diciamo che è come se ci trovassimo di fronte ad un territorio che viene tirato da forze opposte che lo spingono verso l’alto o verso il basso, in termini di servizi sociali, occupazione, livello di istruzione, ecc.

Infine, abbiamo il Mezzogiorno che va sempre più dividendosi in un’area che potremmo chiamare “Sud emergente”, che comprende la Basilicata (soprattutto la provincia di Matera), la Puglia (con l’eccezione dell’asse Lecce-Taranto), il Molise (soprattutto la provincia di Campobasso), e un “ Sud discendente” che comprende Sicilia, Calabria e Campania. Val la pena notare che queste ultime regioni sono anche quelle dove hanno spadroneggiato le mafie per mezzo secolo prima di spostare i loro affari più importanti nell’economia del Centro-Nord Italia e nel resto del mondo.

Possiamo arricchire questo scenario con i dati di una importante inchiesta della Nomisma che ha analizzato la performance, negli ultimi cinque anni, di 73.000 imprese industriali italiane e ne ha estrapolato le migliori 5.198 per aumento dell’occupazione (+ 27 per cento) e del margine operativo lordo (+ 156 per cento). Se andiamo a vedere una ripartizione regionale troviamo che l’Italia del Nord-Est rappresenta il 62 % di queste imprese “virtuose” a fronte di circa il 25% di abitanti, mentre il “Sud discendente” rappresenta solo il 7 per cento di queste imprese selezionate da Nomisma, a fronte del 20 per cento di popolazione.

Interessante è anche una recente indagine sulla cosiddetta “economia sociale o solidale”, condotta dalla Fondazione per la Sussidarietà in collaborazione con l’Istat. L’Italia si conferma un paese a forte vocazione solidale: è al secondo posto tra i maggiori paesi europei come quota di addetti (8,8 %) rispetto al totale degli occupati, poco dietro alla Francia (9,1%). Anche in questo caso, se andiamo su base regionale, dalla classifica dell’economia sociale scopriamo al primo posto la provincia di Trento, seguita da Veneto e Friuli V.G., mentre gli ultimi tre posti sono occupati dai soliti noti: Campania, Calabria e Sicilia.

La stagflazione in cui siamo immersi non potrà che aggravare queste disuguaglianze territoriali e sociali e portare ad una ulteriore frantumazione del nostro paese. Un’Italia in cui continua a crollare la natalità, ad aumentare il saldo negativo tra nati e morti, ad essere ancora lontana dall’obiettivo minimo di avere 33 posti di asilo nido ogni 100 bambini, con una divaricazione territoriale intollerabile: 47 posti di asilo nido a Ravenna ogni 100 bambini contro i 6,2 a Caltanissetta.

 

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