Massimo Pisa La Repubblica 13 dicembre 2022
Piazza Fontana, governo assente Le famiglie: “Silenzio da 53 anni”
Né Meloni né La Russa ricordano l’attentato Lo fa con una nota il solo Piantedosi
La sintesi più efficace la azzecca l’80enne Paolo Silva, anche quest’anno dietro lo striscione dei familiari per piangere suo padre Carlo. A chi gli chiede del silenzio di tutta la maggioranza di governo, risponde con un fulmine: «Sono cinquantatré anni che tacciono! E cosa dovrebbero venire a dirci?». Magari, il 12 dicembre, qualcosa di più del silenzio assoluto della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che dedica gli unici cinguettii di giornata a 18app. O di diverso rispetto all’exploit del presidente del Senato, Ignazio La Russa: «Stamattina sono andato a controllare il suo profilo, non volevo crederci», spiega incredulo Matteo Dendena, nipote di Pietro, terza generazione del dolore e della memoria. «Un tweet su Ramelli, e basta». Questo: “A 47 anni dall’omicidio di Sergio Ramelli, uno speciale Rai affronterà uno dei periodi più bui della nostra storia. Un’occasione, dopo troppo silenzio, per parlare di Ramelli al grande pubblico”. Segue locandina. E centinaia di risposte indignate. Ancora Matteo Dendena: «Ma è chiaro che se un qualunque politico di centrodestra si presentasse, noi non ce ne andremmo da quella piazza. Resteremmo lì a chiedere di aprire gli armadi ».
Non è successo. Assente e silenzioso è il primo esecutivo a trazione FdI, ultima gemmazione di quell’Msi che fu guidato anche da Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo: le pietre d’inciampo in piazza Fontana stanno lì a ricordare che proprio ON fu l’incubatore della strage. Il vuoto di parole fa comunque rumore in piazza Fontana. In passato le istituzioni si erano mosse, l’ex presidente della Camera Roberto Fico si era spinto a chiedere scusa per i depistaggi di Stato, a impegnarsi (a vuoto) per verità e giustizia. Avevano sfidato i fischi Roberto Maroni, Letizia Moratti, Roberto Formigoni, tutti con cariche di governo targate centrodestra. Ieri, nulla. Almeno fino a metà pomeriggio, fino all’asettica nota del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi: «Un atto vile e disumano contro la città, un attentato alla democrazia che provocò la morte di persone innocenti e sconvolse l’intero Paese». Nessun accenno alla matrice della bomba.
Il sindaco Beppe Sala sfila in fascia tricolore sotto i gonfaloni, ricorda che «sono cinquantatré anni che l’Italia è indignata». E sugli assenti solleva le spalle: «Succede ma non viene mai meno il dovere che Milano avverte e che in questi momenti viene espresso con grande forza da tutti i cittadini». I silenzi di governo increspano il volto di Roberto Cenati, presidente del Comitato permanente antifascista e storica anima dell’Anpi: «È vergognoso. È osceno. Meno male che abbiamo avuto le parole del presidente Mattarella. Ma questi signori non hanno avuto nemmeno rispetto delle forme». Poi, in piazza, il pomeriggio è agitato da altre tensioni. Dai cori e dallo striscione di una decina di contestatori, che interrompono i discorsi inneggiando all’anarchico Alfredo Cospito, detenuto al 41 bis. Carlo Arnoldi, che perse a 14 il papà Giulio, si sgola: «Siamo qui per ricordare i nostri morti! Basta!». Perché in piazza Fontana, come ogni 12 dicembre, non c’è mai pace. Che il governo parli o meno.