Massimo Cacciari La Stampa 14 dicembre 2022
I nuovi nemici dell’Occidente
L’Europa attuale non è una democrazia politica ma il pensiero unico si ostina a non riconoscerlo. Le potenze che reggono la globalizzazione economica hanno creato una generazione di alienati e precari
Compagni – disse una volta un tale a un congresso “di sinistra” che andava discettando sull’essenza ideologica del fascismo – parliamo dei rapporti di produzione! Che nella loro forma capitalistica essi si siano globalizzati e che questa globalizzazione sia nella natura del capitalismo, è trita banalità (anche quando Marx vi insisteva). Ma nient’affatto “naturali” sono le modalità in cui si svolge, i nuovi equilibri che produce tra i diversi settori dell’economia e nella composizione sociale. La globalizzazione sembra essere concepita come un terremoto da affrontare “virilmente”, accettando per l’inevitabile progresso che reca in sé i “sacrifici” che oggi comporta.
Non è affatto così. Essa crea nuove élites economico-finanziarie e politiche e di contro nuove “plebi”( il termine latino non ha alcun significato dispregiativo, anzi), nuove forme di sfruttamento e di alienazione – storceranno la bocca i post-moderni: sì, di alienazione, quella che soffrono le migliaia di giovani costretti a lavori precari, sottopagati, non corrispondenti alla loro preparazione, come le donne costrette al focolare, come dipendenti e salariati pubblici e privati che vedono costantemente diminuire il proprio potere d’acquisto e il proprio status sociale. Non c’è alcun processo “uguale per tutti”, come la pioggia che manda il buon Dio. Sono in corso da decenni potenti strategie volte a modificare i rapporti di forza non solo sul piano geo-politico, ma anche tra settore e settore del capitale finanziario e così tra capitale e lavoro. Per carità, nessun Piano del Capitale, nessun Grande Vecchio. Infatti, il disordine complessivo aumenta. Perché ci fosse un Piano occorrerebbe un governo politico globale, un solo Impero. E gli Imperi attuali, invece, si oppongono ormai non solo sul piano tecnologico-economico, ma anche, sempre più faccia a faccia, con le armi. Potrà mai esserci il Regno di uno solo? È certamente concepibile – dopo un’altra Grande Guerra. Concepibile, ma forse non augurabile.
Non esistono processi “neutrali”. Favoriscono gli uni, indeboliscono altri. Le grandi potenze economico-finanziarie che li determinano, senza poterli politicamente guidare, hanno interessi precisi, di lungo periodo. Ciascun soggetto, pur concorrendo e magari confliggendo con altri, ha un solo scopo: aumentare i propri profitti e il proprio potere, anche all’interno dell’amministrazione pubblica. Ciò ricade sul “popolo sovrano” aumentando disuguaglianze, ingiustizie, contraddizioni. A questo si risponde accentrando le decisioni, neutralizzando il conflitto, in forme sempre più evidenti di “autoritarismo democratico”, con l’accompagnamento sgradevolissimo di una intellighentsia che sembra aver perduto ogni volontà critica, perfettamente accomodata a meditare sul Muro inesorabile del dato di fatto.
Come reinventare la democrazia in quest’epoca? Quale Stato sarebbe oggi in grado di promuovere la giustizia sociale? La nostra Costituzione sarà diecimila volte la più bella del mondo, ma rimane tutta parametrata sulla forma-Stato. Che cosa può effettivamente oggi uno Stato? La nostra Costituzione era già consapevole del problema e indicava la via per dar vita a organismi sovra-statuali. Questi, però, o sono organismi politici a tutti gli effetti o non saranno neppure loro in grado di affrontare le macroscopiche contraddizioni che le forme attuali della globalizzazione inevitabilmente moltiplicano. L’Europa attuale è fatta nella sostanza di procedure funzionali, è un sistema inter-governativo, non è una democrazia politica. Porsi un tale problema è mettere in dubbio la necessità dell’Unione? È nostalgia sovranista? È anti-europeismo? Il pensiero unico intende ogni critica come lesa maestà. Comprensibile. Le potenze che reggono la globalizzazione economica tutto sono fuorchè democratiche, e creperebbero se lo diventassero. Credo però che il vero anti-europeista sia chi riduce l’Unione a ruoli subalterni e maschera tale stato di cose con vacue retoriche. Così come dubito che il vero pacifista sia chi fa l’eroe restando lontano dalla guerra, mentre il debole viene spronato a gettarsi nel fuoco.
È per l’Europa chi comprende il salto che è necessario compiere facendo convergere politiche fiscali e sociali, riformando le sue istituzioni, costruendo una sua politica di sicurezza e di difesa davvero autonoma. E di nuovo il pensiero unico insorge: ecco l’anti-occidentale! O magari peggio: ecco chi vuole indebolirci a vantaggio dei tiranni à la Putin! No, cari amici, l’Occidente non è la Grande Terra d’Asia dove domina uno solo, dove qualche casta detta le leggi, dove il costume e le abitudini possono durare secoli. L’Occidente è un arcipelago di nazioni, di lingue, di religioni, di idee, che sanno ritrovarsi e riconoscersi anche quando lottano tra loro. Ma soprattutto accomunate da una volontà: essere libere, non subire i diktat di coloro che vorrebbero far decidere in base a bianco o nero, semplificando tutto, ascoltando nessuno. È tramontato questo Occidente? I suoi attuali apologeti lo fanno davvero temere. I suoi critici si ostinano, malgrado tutto, a crederlo in vita.
Occidente dove vai? E’ tempo che i critici (io) alzino la voce
Massimo Cacciari La Stampa 14 dicembre 2022
I nuovi nemici dell’Occidente
L’Europa attuale non è una democrazia politica ma il pensiero unico si ostina a non riconoscerlo. Le potenze che reggono la globalizzazione economica hanno creato una generazione di alienati e precari
Compagni – disse una volta un tale a un congresso “di sinistra” che andava discettando sull’essenza ideologica del fascismo – parliamo dei rapporti di produzione! Che nella loro forma capitalistica essi si siano globalizzati e che questa globalizzazione sia nella natura del capitalismo, è trita banalità (anche quando Marx vi insisteva). Ma nient’affatto “naturali” sono le modalità in cui si svolge, i nuovi equilibri che produce tra i diversi settori dell’economia e nella composizione sociale. La globalizzazione sembra essere concepita come un terremoto da affrontare “virilmente”, accettando per l’inevitabile progresso che reca in sé i “sacrifici” che oggi comporta.
Non è affatto così. Essa crea nuove élites economico-finanziarie e politiche e di contro nuove “plebi”( il termine latino non ha alcun significato dispregiativo, anzi), nuove forme di sfruttamento e di alienazione – storceranno la bocca i post-moderni: sì, di alienazione, quella che soffrono le migliaia di giovani costretti a lavori precari, sottopagati, non corrispondenti alla loro preparazione, come le donne costrette al focolare, come dipendenti e salariati pubblici e privati che vedono costantemente diminuire il proprio potere d’acquisto e il proprio status sociale. Non c’è alcun processo “uguale per tutti”, come la pioggia che manda il buon Dio. Sono in corso da decenni potenti strategie volte a modificare i rapporti di forza non solo sul piano geo-politico, ma anche tra settore e settore del capitale finanziario e così tra capitale e lavoro. Per carità, nessun Piano del Capitale, nessun Grande Vecchio. Infatti, il disordine complessivo aumenta. Perché ci fosse un Piano occorrerebbe un governo politico globale, un solo Impero. E gli Imperi attuali, invece, si oppongono ormai non solo sul piano tecnologico-economico, ma anche, sempre più faccia a faccia, con le armi. Potrà mai esserci il Regno di uno solo? È certamente concepibile – dopo un’altra Grande Guerra. Concepibile, ma forse non augurabile.
Non esistono processi “neutrali”. Favoriscono gli uni, indeboliscono altri. Le grandi potenze economico-finanziarie che li determinano, senza poterli politicamente guidare, hanno interessi precisi, di lungo periodo. Ciascun soggetto, pur concorrendo e magari confliggendo con altri, ha un solo scopo: aumentare i propri profitti e il proprio potere, anche all’interno dell’amministrazione pubblica. Ciò ricade sul “popolo sovrano” aumentando disuguaglianze, ingiustizie, contraddizioni. A questo si risponde accentrando le decisioni, neutralizzando il conflitto, in forme sempre più evidenti di “autoritarismo democratico”, con l’accompagnamento sgradevolissimo di una intellighentsia che sembra aver perduto ogni volontà critica, perfettamente accomodata a meditare sul Muro inesorabile del dato di fatto.
Come reinventare la democrazia in quest’epoca? Quale Stato sarebbe oggi in grado di promuovere la giustizia sociale? La nostra Costituzione sarà diecimila volte la più bella del mondo, ma rimane tutta parametrata sulla forma-Stato. Che cosa può effettivamente oggi uno Stato? La nostra Costituzione era già consapevole del problema e indicava la via per dar vita a organismi sovra-statuali. Questi, però, o sono organismi politici a tutti gli effetti o non saranno neppure loro in grado di affrontare le macroscopiche contraddizioni che le forme attuali della globalizzazione inevitabilmente moltiplicano. L’Europa attuale è fatta nella sostanza di procedure funzionali, è un sistema inter-governativo, non è una democrazia politica. Porsi un tale problema è mettere in dubbio la necessità dell’Unione? È nostalgia sovranista? È anti-europeismo? Il pensiero unico intende ogni critica come lesa maestà. Comprensibile. Le potenze che reggono la globalizzazione economica tutto sono fuorchè democratiche, e creperebbero se lo diventassero. Credo però che il vero anti-europeista sia chi riduce l’Unione a ruoli subalterni e maschera tale stato di cose con vacue retoriche. Così come dubito che il vero pacifista sia chi fa l’eroe restando lontano dalla guerra, mentre il debole viene spronato a gettarsi nel fuoco.
È per l’Europa chi comprende il salto che è necessario compiere facendo convergere politiche fiscali e sociali, riformando le sue istituzioni, costruendo una sua politica di sicurezza e di difesa davvero autonoma. E di nuovo il pensiero unico insorge: ecco l’anti-occidentale! O magari peggio: ecco chi vuole indebolirci a vantaggio dei tiranni à la Putin! No, cari amici, l’Occidente non è la Grande Terra d’Asia dove domina uno solo, dove qualche casta detta le leggi, dove il costume e le abitudini possono durare secoli. L’Occidente è un arcipelago di nazioni, di lingue, di religioni, di idee, che sanno ritrovarsi e riconoscersi anche quando lottano tra loro. Ma soprattutto accomunate da una volontà: essere libere, non subire i diktat di coloro che vorrebbero far decidere in base a bianco o nero, semplificando tutto, ascoltando nessuno. È tramontato questo Occidente? I suoi attuali apologeti lo fanno davvero temere. I suoi critici si ostinano, malgrado tutto, a crederlo in vita.