Il rumore della valanga

Carlo Bonini La Repubblica 15 dicembre 2022
Il rumore della valanga
C’è un momento, in ogni inchiesta giudiziaria, in cui il diaframma che separa una ragionevole ipotesi da una altrettanto ragionevole certezza cade.

 

E la confessione di Francesco Giorgi, compagno dell’ormai ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili, nonché factotum dell’ex eurodeputato Pd Antonio Panzeri, di cui diamo conto oggi nelle nostre corrispondenze da Bruxelles, è uno di questi. Non certo e non tanto per l’ammissione di colpevolezza che quella confessione porta con sé, ma per lo squarcio che apre su un “sistema”.

Sulla sua articolazione. Sui suoi registi. Che, scopriamo ora, siedono non solo nel cuore dei palazzi del potere a Doha, Qatar, ma anche in quelli di Rabat, Marocco. La ong Fight Impunity – spiega Giorgi al magistrato belga che lo interroga – era infatti la tasca che non solo gli sceicchi del Golfo, ma i potentissimi ed efficientissimi Servizi segreti marocchini, avevano individuato per condizionare, orientare, sovvertire gli orientamenti e il voto della massima espressione della democrazia continentale – il Parlamento europeo – non solo sul tema dei diritti dei lavoratori violati nel Golfo, ma anche sulla disputa che vede il Sahara occidentale conteso tra il Marocco e la popolazione Saharawi del fronte Polisario.

Due diversi Paesi, in due diversi quadranti di mondo, avevano dunque non soltanto individuato un canale di corruzione, ma ne avevano verificato la risposta efficiente.
Se è vero – come Giorgi ammette nella sua confessione – che la forza persuasiva dispiegata dalle risorse messe a disposizione di Fight Impunity aveva consentito di tirare a bordo del “sistema” un altro europarlamentare del Pd come Andrea Cozzolino e di agganciare politicamente gli europarlamentari (allo stato non indagati nell’indagine penale) belgi Maria Arena e Marc Tarabella, e gli italiani Alessandra Moretti e Brando Bonifei.

L’architettura del “sistema Panzeri”, la dimensione del contante che la oliava, il profilo senior dei suoi protagonisti, giustificano la ragione che spinge i magistrati belgi, nelle loro carte, a evocare genericamente quale punto di approdo di questa raffinata operazione di penetrazione nel ventre molle della democrazia europea i suoi più “alti rappresentanti politici” e le sue “alte burocrazie”. Spiegano il terrore e lo sconforto che in queste ore attanaglia le istituzioni europee, nonché la ragione per la quale all’origine dell’inchiesta della Procura di Bruxelles sono state non le evidenze raccolte in una normale attività di polizia giudiziaria, ma un’operazione di controspionaggio condotta dal Servizio segreto belga e da altri non meglio specificati Servizi segreto europeo (a Bruxelles si parla di almeno cinque diverse Agenzie).

L’oggetto del contendere della sfida posta all’integrità della democrazia europea da quei Paesi che oggi sappiamo essere Qatar e Marocco, ma la cui lista potrebberagionevolmente allungarsi nelle prossime settimane o nei prossimi mesi (magari con una revisione attenta e puntuale del lavoro di altre ong, o dalfall-out che porterà con sé il crollo del “sistema Panzeri”), non è stata e non è infatti una faccenda di banali “mazzette” allungate per comprare a buon mercato la benevolenza di quale deputato o alto funzionario a Bruxelles, ma la natura stessa e la evidente fragilità dei processi decisionali di Bruxelles.

Nell’operazione degli sceicchi di Doha e dell’intelligence marocchina è infatti evidente non tanto un giudizio sprezzante sulla scadente capacità di tenuta del cuore politico dell’Europa, quanto la scommessa della sua assoluta permeabilità. Quelle mazzette scoperte nelle abitazioni di Giorgi e Panzeri, nel trolley del padre di Eva Kaili, sono la dimostrazione che agli occhi dei Paesi arabi del Golfo, delle autocrazie asiatiche, delle potenze regionali del nord-Africa, l’Europa politica appare come un gigante stanco e malato. Dai piedi di argilla e dal personale politico screditato e avido. Un soggetto politico sul mercato. E in vendita. Purché ci si accordi sul prezzo. Tanto più alto, quanto più alti sono i valori di cui l’Europa si vanta di essere la culla e la custode e di cui si chiede di fare strame.

Sottovalutare questa circostanza, o, peggio, ritenere che il meteorite che oggi colpisce il gruppo socialista del Parlamento europeo, sia questione circoscrivibile a un cesto di mele marce e alle velleità di qualche autocrazia di comprarsi l’Europa per qualche centinaia di migliaia di euro sarebbe un errore. Significherebbe ignorare la malattia che ne affligge la sua classe dirigente. Assolverne, prima ancora che un rigoroso processo cominci, la sua governance. Sul piano delle prassi, dei meccanismi di controllo, della selezione del suo personale e delle sue burocrazie.
Anche perché la palla di neve del “sistema Panzeri” minaccia di farsi valanga. Soprattutto se alla confessione di Giorgi dovessero (e non è improbabile) seguirne di altre.

Ricordiamo tutti come, trent’anni fa, cominciò l’inchiesta Mani pulite. Qualche decina di milioni di lire buttate nello sciacquone del water da “un mariuolo”. Da quel Mario Chiesa che doveva essere il banale fusibile di un sistema. È difficile evidentemente immaginare quanto l’inchiesta della Procura di Bruxelles camminerà. Quali e quanti altri dossier sono nelle mani del servizio segreto belga e dei Servizio europei che hanno dato il la a questa vicenda. E su quali altri Paesi. Ce lo dirà il tempo. Sicuramente, quello che resta all’Europa politica per correre ai ripari e mettere in sicurezza le sue istituzioni è tutt’altro che lungo. Il mercato dove oggi scopriamo compravano Marocco e Qatar ha l’aria di essere antico. E piuttosto affollato.

 

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