Francesco Bei La Repubblica 15 dicembre 2022
Gli slogan leghisti bocciati dall’Ue
La prima legge di bilancio della destra è positiva per quello che non contiene. Si può leggere in questo modo il giudizio in chiaroscuro che ieri ne ha dato la Commissione europea. È come un piatto insipido mangiato in una trattoria dove temevamo di essere avvelenati.
Avrebbe potuto infatti essere una Finanziaria scassa-conti. A mettere in fila le promesse elettorali e le richieste di questi giorni dei partiti di maggioranza le premesse per mettere in pericolo la stabilità finanziaria del Paese c’erano tutte. Fortunatamente il ministro Giancarlo Giorgetti si è mosso con «prudenza» – copyright Gentiloni – e in continuità con il suo predecessore Franco. E ha cucito un vestito che non sarà bellissimo, nessuno lo ricorderà la mattina dopo, ma consente di uscire di casa e presentarsi a Bruxelles senza fare scandalo.
Detto questo, quello che il ministro dell’Economia minimizza come «il pelo nell’uovo», ovvero i rilievi negativi della Commissione europea, costituiscono invece una questione politica di prima grandezza.
Perché è proprio lì, sulla Kulturkampf contro la moneta digitale, sulla flat tax e sui prepensionamenti facili che il governo ha deciso di costruire la sua “narrazione”. E ha rivendicato non la prudenza draghiana, ma le misure più identitarie infilate a forza nella manovra, come una spezia troppo piccante che rende alla fine immangiabile la minestra cucinata a via XX Settembre. Ma c’è un dato politico ancora più eclatante: la bocciatura di Bruxelles cade in particolare su tutte le bandiere politiche della Lega di Salvini. Gli uomini del “Capitano” l’hanno capito benissimo e infatti masticano amaro, insultano Gentiloni e la presidente von der Leyen «serva di Berlino», mentre la premier incassa il sì alla manovra e prosegue fischiettando.
È come se il governo, non avendo un disegno di sviluppo per il Paese, privo di una bussola economica e industriale che non sia aggrapparsi unghie e denti ai fondi del Pnrr, provasse a vendersi con il suo elettorato le vecchie parole d’ordine. Che si riassumono in uno slogan: vi libereremo dallo Stato che odiate. Non la riforma del Fisco, ma il via libera all’evasione fiscale con il contante a 5000 euro (a proposito, il Qatargate apre gli occhi a tutti sull’uso principale di grosse somme cash: le tangenti) e la campagna contro il Pos. Non la messa in sicurezza del sistema previdenziale, con un Paese che ha la popolazione più anziana d’Europa, ma i prepensionamenti. Non un prelievo più umano per i pochi fessi che le tasse le pagano per intero, ma la flat tax fino a 85 mila euro. E tutto quello che si guadagna in più finisce in nero. È una visione di un mondo che non c’è più, regressiva.
E pure anti-economica, come hanno provato a spiegare – inascoltati e anzi sbeffeggiati – l’Ufficio parlamentare di bilancio, la Corte dei conti e la Banca d’Italia. È l’idea di un’Italia che si arrangia scappando ai doveri di solidarietà fiscale, che nasconde i soldi alla Agenzia delle entrate e poi pretende che i servizi siano gratuiti. Per finanziare questo paese della cuccagna, il governo taglia i servizi sociali, i fondi per gli asili e le scuole dell’infanzia, taglia sulla sanità e taglia ancora il Reddito di cittadinanza – l’ultima ipotesi è toglierlo a chi ha meno di 40 anni – senza immaginare uno strumento alternativo di sostegno alla povertà.
Rompendo così il patto sociale che tiene insieme il Paese con una manovra antimoderna che fa risparmi sul sociale e sulla cultura.
Si dice che Meloni e Giorgetti non abbiano avuto il tempo di immaginare misure ambiziose per il poco tempo a disposizione. E la questione del calendario è certamente vera. Ma qui il problema è un altro: con i pochi margini a disposizione, con le poche risorse lasciate dopo aver pensato alle bollette, gli alchimisti del “governo politico” hanno fatto vedere in che direzione vogliano portare il Paese. Ed è una strada buia, in fondo alla quale non c’è sviluppo e non c’è ripresa. Per dirla con Bonomi, certo non sospettabile di parteggiare per la sinistra, è una manovra che «non crea potenzialità per l’economia».