Perché la sinistra finisce nel fango

Gianni Cuperlo La Stampa 15 dicembre 2022
Perché la sinistra finisce nel fango
Caro direttore, diamo per scontate le cose che vanno dette quando si è dinanzi a scandali di portata persino minore rispetto a quanto sta emergendo dal Qatargate esploso a Bruxelles.

Per primo che bisogna avere piena fiducia nella magistratura, nel caso quella belga, chiamata ad andare fino in fondo senza riguardi verso nessuno, soprattutto se potente oggi o in passato. E ancora, che ogni episodio di corruzione lede la credibilità delle forze politiche e delle istituzioni coinvolte, dunque è legittimo che entrambe si ritengano parte lesa.

Per una volta, però, diamo per scontate anche le cose che non si dovrebbero più dire tanto sono logorate quelle formule. La prima è una frase rapida quanto assolutoria, «nei fatti non c’è nulla di penalmente rilevante», perché da quelle parole è derivata una rimozione del principio di opportunità. Ci sono azioni, e relazioni, che non costituiscono un reato in sé, ma risultano incompatibili con trasparenza e correttezza chieste a chi eserciti funzioni e ruoli pubblici. Cassiamo pure la metafora sulle mele marce.

Poteva valere in un contesto dove dentro al cesto se ne rinveniva una o un paio, ma se il numero cresce con ogni evidenza il problema è un altro. La realtà è che la sinistra è chiamata a fare i conti con una questione morale penetrata dentro di sé e che nessuna scorciatoia, individuale o giudiziaria, può assolvere. La domanda è se sia la stessa questione denunciata quarant’anni fa nella conversazione tra Berlinguer e Scalfari o se non si tratti di un fenomeno in parte diverso.

La mia opinione è che il problema di adesso non stia solo nel riproporsi di partiti ridotti a camarille e incistati in ogni ambito del potere pubblico. Credo che la questione sia figlia anche di ciò che al suo tempo il segretario comunista non poteva denunciare perché non ancora consumato. Parlo di processi avanzati in anni e decenni successivi a iniziare da una delegittimazione delle culture politiche e dei soggetti che per una sessantina d’anni se ne erano fatti interpreti.

Quei partiti, anche a sinistra, hanno subìto e spesso cavalcato quel sentimento pensando di traversare il temporale senza bagnarsi. Diciamo che si sono costituiti dinanzi all’idea che il patrimonio ereditato fosse oramai irriformabile. Abrogare ogni forma di finanziamento pubblico alla politica ha sancito questo inseguimento del senso comune (sul buon senso impaurito valga l’epitaffio del Manzoni). Tra le conseguenze è accaduto che un ceto politico sempre più schiacciato e identificato con le istituzioni ha cercato altrove le risorse per alimentare la propria rendita di posizione o potere. Il tutto sino a determinare il ritorno a un accesso patrimoniale alle cariche elettive. Per chiarezza, quanto costa oggi farsi eleggere, o nominare, in un consiglio comunale, regionale, alla Camera o al Senato, nel Parlamento di Strasburgo? E perché anche a sinistra non eleggiamo più un operaio, una precaria, un cassa integrato o un pensionato?

Non avere difeso e rifondato le culture politiche, essersi assuefatti al primato di una forza mediatica nella costruzione delle leadership e dei profili pubblici, aver accolto l’idea di una presenza dentro le istituzioni come l’unica sede capace di garantire l’agibilità politica ai singoli mentre fuori da lì cresceva l’alternativa del lobbysmo e dell’affarismo, tutto ciò ha prodotto un abbassamento della soglia del controllo e della vigilanza su fenomeni di malcostume, mala gestione sino a crescenti infiltrazioni capaci di condizionare la vita democratica di importanti organizzazioni territoriali e non solo.

A dirla tutta, non è che siamo tornati ai vecchi partiti di massa del ‘900. In alcuni contesti siamo regrediti al notabilato di fine Ottocento con l’effetto che al pari di un secolo fa pure l’esercizio del voto sempre più spesso torna a dipendere da criteri di censo. Stavolta non per il veto di recarsi al seggio, ma per il non riconoscersi in un’offerta della rappresentanza che via via ha emarginato classi e parti intere di società. La sintesi?

Penso che la questione morale di oggi sta nell’avere corrotto non già e solo singoli individui, ma la nozione stessa di politica, privandola di quella radice popolare e partecipata che rappresentava l’anticorpo fondamentale contro percorsi degenerativi che non sono un destino obbligato. Soprattutto non debbono esserlo per quel popolo della sinistra, la più gran parte, che nelle traversie di questi decenni ha preservato passione e uno spirito critico che lo fa indignare quando i valori fondanti di quella storia vengono aggrediti dall’interno. Dinanzi allo scandalo di questi giorni affrontare finalmente una questione troppo a lungo taciuta e rinviata credo sia la sola condizione per non doversi vergognare più.

 

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