La partita sui Chip nel duello Cina Usa

La Stampa 18 dicembre 2022
Usa-Cina: duello sui chip, gara per la supremazia tecnologica. Cosa sta succedendo
L’ultimo capitolo della disputa lo ha scritto Pechino sporgendo reclamo al Wto per le restrizioni alle esportazioni da parte degli Stati Uniti

Cina e Stati Uniti si sfidano sull’hi-tech, in un duello che si preannuncia come il più acceso, e ampio, per la supremazia tecnologica tra le due grandi potenze. L’ultimo capitolo della disputa lo ha scritto Pechino, sporgendo reclamo al Wto (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) per le restrizioni alle esportazioni di chip da parte degli Stati Uniti. Gli Usa il 7 ottobre scorso avevano annunciato una delle manovre più ampie per limitare l’export verso la Cina di semiconduttori ed equipaggiamenti per la produzione di chip, vitali per la produzione di smartphone, ma anche per lo sviluppo di sistemi d’arma avanzati.

Le regole statunitensi
In base alle nuove regole di Washington, i produttori di queste componenti avranno bisogno di una licenza speciale per potere esportare in Cina, perché gli Stati Uniti intendono fare qualsiasi cosa per evitare che «tecnologie sensibili con applicazione militari» finiscano nelle mani di Pechino, ha detto il sottosegretario al dipartimento del Commercio Usa, Alan Estevez, commentando la decisione di Washington. E tra le misure prese c’è anche quella che vieta a cittadini statunitensi, o ai detentori di green card, di lavorare per aziende cinesi del settore, una mossa che punta a chiudere i rubinetti delle risorse statunitensi per le imprese cinesi, in nome della tutela della sicurezza nazionale.

Il reclamo di Pechino
Nel reclamo alla Wto, la Cina ha definito la pratica di Washington «tipica del protezionismo commerciale». Gli Stati Uniti, è l’accusa di Pechino, hanno «generalizzato il concetto di sicurezza nazionale, abusando delle misure di controllo delle esportazioni, ostacolando il normale commercio internazionale di chip e altri prodotti, minacciando la stabilità della catena industriale globale e della catena di approvvigionamento, interrompendo l’economia e l’ordine del commercio internazionale» e violando regole economiche e commerciali.
Con il reclamo del 15 dicembre scorso viene formalmente aperta la disputa presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio tra Cina e Stati Uniti, che avranno sessanta giorni di tempo per risolverla, trascorsi i quali il Paese ricorrente, ovvero la Cina, avrà diritto a chiedere un’istruttoria da parte di un comitato di esperti.

La riposta di Washington
Washington ha risposto al reclamo di Pechino presso il Wto – il primo dall’inizio dell’amministrazione targata Joe Biden – affermando che l’ente che gestisce le regole del commercio internazionale «non è la sede appropriata» per questioni che riguardano la sicurezza nazionale, e dichiarando di non avere alcuna intenzione di rimuovere le misure intraprese. Al contrario, l’Ufficio per l’Industria e la Sicurezza del Dipartimento del Commercio di Washington ha inserito 36 aziende – tra cui il più grande produttore cinese di tecnologia per la memoria informatica, Ymtc – nella sua Entity List, che impone l’ottenimento di una licenza governativa per l’esportazione di specifici prodotti. Dei 36 gruppi segnalati, tutti sono basati in Cina, tranne uno, collocato in Giappone, controllato da un gruppo cinese.

Le dimensioni della disputa
La disputa non riguarda solo Cina e Stati Uniti, ma ha dimensioni molto più ampie. Sia il Giappone che i Paesi Bassi stanno valutando controlli alle esportazioni verso la Cina su pressioni di Washington, destando irritazione a Pechino. In questa chiave va letto il sottile monito del presidente cinese, Xi Jinping, al primo ministro olandese, Mark Rutte, a margine dello scorso vertice del G20 di Bali. «Il mondo è uno», ha detto Xi, ed è «necessario contrastare la politicizzazione delle questioni economiche e commerciali e mantenere la stabilità delle catene industriali e di approvvigionamento globali».

Nel mirino c’è il produttore di attrezzature per i chip Asml, che ha recentemente mostrato una certa riluttanza a tagliare i legami commerciali con la Cina sotto la pressione degli Usa. Di tono simile anche il richiamo alla stabilità delle catene industriali rivolto da Xi al primo ministro giapponese, Fumio Kishida, incontrato pochi giorni dopo a Bangkok, a margine del vertice Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation).

 

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