Andrea Malaguti La Stampa 18 dicembre 2022
Lutto nel giornalismo, la lezione di Sconcerti
Addio a una delle firme più illustri. Una passione smisurata per il calcio e la sua storia, sempre controcorrente, duro e tenerissimo insieme
Mario Sconcerti era nato a Firenze il 24 ottobre 1948. Ha cominciato la sua carriera nella carta stampata, ma è stato anche opinionista radio e tv
Se n’è andato Mario Sconcerti, l’uomo più libero che ho conosciuto. Non sono in grado di farne il ritratto preciso, quello giusto per giorni così, per un uomo così, diverso da tutti. È come se i ricordi si inseguissero alla rinfusa, come se fossero i bastoncini colorati dello shangai. Complicato spostarne uno senza finire su un altro. Il primo che afferro, nella mia testa è colorato di rosso. La passione. Lui seduto sul divano di casa che mi scruta con occhio paterno, il sorriso arrogante e pieno che hanno solo i fiorentini. Nella stanza ci sono una tastiera per il karaoke e un muro di libri. Dice: «Andrea, esistono due tipi di direttori. Ci sono quelli che vedono la folla andare da una parte e allora corrono in testa al gruppo gridando: andiamo! E poi quelli come me, che quando incrociano la folla si mettono in coda e urlano: dove cazzo andate!, dall’altra parte!!!». Ecco, Mario Sconcerti era dall’altra parte.
La prima volta che l’ho visto lui era già lui da un pezzo. Non era solo il Capo. Per me era Dio, per tutti i colleghi del Corriere dello Sport «Il Faraone». Chi vuoi essere? Voglio essere Mariosconcerti, tutto attaccato.
In ogni caso. Roma, inverno del 1997, piazza Indipendenza. Forse le undici del mattino. Comunque un’ora del genere. Si apre l’ascensore. Mario lancia il loden su un attaccapanni, apre la porta del suo ufficio e con voce stentorea annuncia: «La bottega è aperta». E dietro quelle quattro parole c’era un mondo. Il suo. La bottega è la fatica dell’artigiano, che ogni giorno mette le mani nella creta e la lavora. Ma la bottega per lui era il Rinascimento. Quello vero. La sua Firenze. Niente valeva più di Firenze. Aveva più dignità di Firenze. Perché è lì che la creazione diventa opera d’arte. «Voi bolognesi avete una qualità media molto alta, forse persino più dei toscani. Ma quanto a picchi non ci batte nessuno: per caso Leonardo è nato dalle vostre parti?».
Mi aveva assunto al telefono, quella mattina era la prima volta che lo vedevo di persona. Credevo fosse più alto, nella mia testa era un gigante. Lo è anche adesso. Rapido, geniale, politicamente scorretto, generosissimo, irascibile e soprattutto pazzo, completamente pazzo, strepitosamente pazzo.
Una mattina mi chiama, piena estate. «Domani dovresti partire e stare via un mese». «Mi licenzi, Direttore?». «No, ti mando in Argentina e in Brasile». «A fare che?». «Quello che vuoi: basta che ogni giorno mandi una pagina di storie. Emozioni, racconti, fatti, personaggi. Una volta Romario, una volta Carlos Bianchi e poi fai un po’ come ti sembra più bello». Click. Era un ottovolante sparato in quella terra rara, e di confine, dove si incontrano l’intelligenza e il sentimento. Mariosconcerti ne era il custode.
Vigilia di Natale. «Il Milan ha comprato un certo Shevcenko, vai a Kiev a spiegare il suo mondo». Febbraio. «C’è la Coppa d’Africa in Burkina Faso, il paradiso delle storie, buon viaggio». Nello sport c’è tutto. Nessuno era capace di spiegarlo come lui. Fallimento, rinascita, errore, paura, felicità inarrivabile, dolore incancellabile, sfida ai limiti dell’umano. «Se racconti lo sport racconti la vita». Era come parlare con Omero, con Salgari, con il suo Dante Alighieri. Curioso di tutto. Esplosivo. Partigiano. Sempre schierato. Schifato dalla routine. «Totti parla in conferenza stampa? Dieci righe. Checcifrega della conferenza stampa? Spiegatemi perché Totti vede il calcio prima degli altri, qual è la sua differenza. Noi siamo il Sole 24 ore dello sport. La Cassazione. Il calcio è un’azienda miliardaria. Va trattato con rispetto».
Altra bacchetta dello shangai. Questa è viola. Anzi Viola. Ristorante vicino a Porta Pia, sera, Mario non è più il direttore del Corriere dello Sport, è il direttore generale della Fiorentina più assurda e instabile di ogni tempo, quella di Vittorio Cecchi Gori. Siamo diventati amici, ci mangiamo una pizza con le mogli, tutto bene fino alle 11 quando arriva un collega che pensando di fare lo spiritoso gli dice: «Il tuo Cecchi Gori ha finito di rubare?». Mario esplode. «Se tu dici che Cecchi Gori ruba io dico che tua moglie è una maiala». È fuori di sé. Una tirata di dieci minuti senza tirare il fiato. Il cameriere va dalle nostre vicine di tavolo: «Volete che vi sposti?”. E loro: «Assolutamente no, quando ci ricapita uno spettacolo così». Mario lancia la carta di credito e se ne va indignato. Il proprietario del locale lo insegue per restituirgliela e gli chiede: «Direttore, ma il Bari lo caccia Fascetti?». Risposta indicibile.
Mai visto nessuno con più energia e passione. Duro e tenerissimo. Totalmente stregato da sua figlia, Martina, e da sua moglie, Rosalba, la vera architrave della sua esistenza. Dolce, paziente, brillante, innamorata. Mamma che bella famiglia, gli Sconcerti.
Shangai azzurro. È stato il mio testimone di nozze. Lei, Rosalba, in prima fila. Bellissima. Non credo di avergli mai detto quanto fossi orgoglioso che proprio lui, Mariosconcerti, fosse lì al nostro fianco. Di quanto era gratificante che ci fosse anche lei.
Shangai giallo. Mario, figlio di Adriano, re dei procuratori del pugilato, era uno studioso. Scriveva libri (Storia delle idee del calcio è forse il più bello mai scritto sull’universo strano del pallone), soprattutto li leggeva. Si è laureato tardi. Non gli piaceva l’idea che lo chiamassero dottore senza che lo fosse veramente. Amava la storia. La conosceva. La usava.
Da Repubblica al Secolo XIX ha inventato giornalisti, modi di fare giornalismo, ha guidato e aperto redazioni, e fatto dire a Gianni Brera (scomparso giusto 30 anni fa): «tu sei il mio miglior tramando». Ha sofferto molto, è stato esiliato, ha ricominciato da zero ed è tornato in cima alla montagna. Ha dato spettacolo in tv, alla radio e sul Corriere della Sera. Quando usi tanto le parole qualcuna ti scappa. A lui è successo. È stato oggetto di aggressioni ingiustificate. Succede quando ti esponi molto. E Mario era perennemente petto in fuori. Un fuoriclasse. Inquieto, perennemente alla ricerca del Santo Graal. Nulla, per me, pesava quanto i suoi commenti. Diretti, coraggiosi, profondi. Inevitabilmente, convintamente, meravigliosamente dall’altra parte. Grazie Mario, è stato un onore. Saluta Dante e Leonardo. Non ti scordare di noi.