Accordo sul tetto al prezzo del gas. Ma c’è già la clausola per annullarlo

 

Francesca De Benedetti Domani 20 dicembre 2022
Accordo sul tetto al prezzo del gas. Ma c’è già la clausola per annullarlo
Dopo mesi di rinvii, la proposta della Commissione è stata migliorata e la Germania si convince ad approvarla Ma Bruxelles prepara la trappola: se gli effetti avversi saranno più dei benefici, il meccanismo verrà sospeso

 

C’è l’accordo sul tetto ai prezzi del gas, ma alla farsa non c’è fine. Berlino ha detto sì alla leva di emergenza europea se il prezzo del gas supera i 180 megawattora. Dopo mesi di ostruzionismi e rinvii, giocati in coppia con la commissione von der Leyen, la Germania sblocca il dossier, che pare pronto per l’entrata in vigore a febbraio. Ma attenzione: dove il governo

Scholz deve cedere, torna a fargli da sponda Bruxelles. E Kadri Simson, la commissaria Ue all’Energia, tira fuori lo studio di impatto: «Se dal rapporto emergerà che gli effetti avversi sono più dei benefici, la Commissione si riserva di sospendere ex ante il meccanismo».

L’accordo dei governi Sul tetto ai prezzi del gas abbiamo imparato a conoscere tutte le derive della politica europea. Abbiamo visto l’ostruzionismo di Berlino e Amsterdam che sono riuscite a frenare per mesi una maggioranza di governi. Abbiamo visto una Commissione europea supina ai governi più potenti, e una presidente — von der Leyen — che al di là delle promesse ha tenuto in ostaggio il tetto ai prezzi per mesi, per poi trasformarlo in un involucro vuoto. La proposta di leva di emergenza che infine Bruxelles aveva disegnato a novembre era talmente farsesca che non sarebbe mai stata applicata. Il meccanismo «di correzione del mercato» si sarebbe attivato in automatico solo se il prezzo del gas avesse superato per due settimane i 275 euro per megawattora; inoltre il differenziale (lo, “spread”) tra il prezzo al mercato del gas di Amsterdam (Ttf) e quello del gas naturale liquefatto avrebbe dovuto oltrepassare i 58 euro per dieci giorni continuativi. In questo contesto, l’accordo concluso ieri pomeriggio dai governi potrebbe persino apparire come un successo, visto che abbassa tutti questi livelli: la leva si attiva se il prezzo supera i 180 euro per tre giorni lavorativi, e se per lo stesso periodo il differenziale oltrepassa i 35 euro. Una volta attivata, la leva resta valida per 20 giorni.

Persi nel compromesso Molto meglio della proposta di partenza della Commissione Ue, che era di 275 euro. Molto peggio del piano iniziale di Mario Draghi di giugno, che metteva un limite a 80 euro. Piuttosto lontana dalla realtà attuale, in ogni caso, visto che la settimana inizia con un prezzo di 115 euro per megawattora. La presidenza di turno ceca — che doveva e voleva trovare un accordo prima della chiusura del semestre — ha tentato di accontentare tutti. Quel che resta è un tetto lost in compromise, perso nel compromesso, e ben lontano dalle aspettative alimentate negli europei: avevano sentito nominare ripetutamente il price cap nei notiziari e nei discorsi dei premier di turno, come se il tetto potesse avere un potere taumaturgico e determinare il costo delle loro bollette. Difficilmente andrà così. I ministri dell’Energia sono intervenuti sulle soglie proposte dalla Commissione, in modo da disinnescare la più grande obiezione: che la leva fosse disegnata apposta per non essere mai attuata. Ma, come dichiara la presidenza ceca, «da una parte abbiamo offerto soluzioni per avere una leva di emergenza, dall’altra abbiamo incorporato una serie di tutele che ci permettono di disattivarla». In poche parole, il Consiglio Ue modifica al ribasso le soglie per accontentare la maggioranza dei paesi, che il tetto lo vuole; ma allo stesso tempo depotenzia l’iniziativa dando ai governi tutti gli strumenti per disattivare la leva. Si ritorna così al punto di partenza: anche se il meccanismo dovesse diventare operativo, ci saranno molteplici leve per disinnescarlo; per esempio se aumentano i consumi, o se ci sono problemi con le importazioni. «Incorporiamo molte salvaguardie per rassicurare quei governi che sono preoccupati per una possibile perdita di competitività sul mercato europeo o per un’eventuale carenza di scorte di gas». “Quei governi” è anzitutto Berlino.

La beffa finale «È un successo dell’Italia!», se ne esce Gilberto Pichetto Fratin, al quale Meloni ha affidato la sicurezza energetica e che aveva fatto il suo ingresso in Ue con una scivolata dietro l’altra. In realtà di vittorioso in questa storia c’è poco. Al Consiglio europeo del 15 dicembre i leader avevano praticato l’ennesimo rinvio, e ora che i ministri decidono, c’è sempre l’incognita dello studio di impatto. Intempestivi a dire poco.

 

 

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