Walter Galbiati La Repubblica 20 dicembre 2022
Una vittoria a metà
Il price cap europeo sul gas. Il price cap sul gas è al tempo stesso una vittoria e una sconfitta.
Una vittoria nei confronti della Russia, una sconfitta per le politiche energetiche dell’Europa. Una vittoria perché l’Unione europea si è di nuovo coesa, come aveva fatto in occasione prima delle sanzioni e poi delle forniture di armi all’Ucraina, per contrastare l’espansionismo russo. E lo ha fatto di nuovo sul fronte economico (affrontando per la prima volta un tabù, quello dell’energia), dove a volte si fa più male che con le armi. Lo dimostrano le parole del portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, che ha definito l’intesa «inaccettabile» e una «distorsione del mercato», promettendo una reazione, così come l’aveva promessa il 5 dicembre scorso quando l’Unione Europea e il G7 avevano ratificato un price cap per il petrolio russo.
E in realtà tra i due tetti, fissati in rapida sequenza uno dietro l’altro, quello che fa più male all’economia russa è quello sul greggio. Innanzitutto perché su 320 miliardi di dollari di esportazioni di gas e petrolio nel 2022, ben 220 miliardi sono da attribuire al petrolio. In secondo luogo perché il prezzo fissato a 60 dollari era di fatto inferiore ai prezzi a cui veniva trattato a novembre il petrolio russo consegnato nel Mediterraneo che si aggirava intorno ai 67-68 dollari al barile. Infine perché nonostante il cap arrivi dall’Occidente, sarà difficile per la Russia consegnare il petrolio altrove perché il monopolio delle assicurazioni delle compagnie navali che trasportano greggio è saldamente nelle mani di inglesi e americani. E nessuna petroliera avrà un’assicurazione per un prezzo del greggio russo superiore ai 60 dollari.
Quanto al prezzo del gas, è stato fissato a 180 euro a megawattora, partirà il prossimo 15 febbraio ed entrerà in funzione solo quando il prezzo di mercato rimarrà per tre giorni al di sopra di quella soglia, con uno spread rispetto al gas liquido di 35 euro. Già ieri le quotazioni del gas erano aldi sotto del prezzo fissato, a circa 110 al megawattora, e comunque si tratta di un cap non solo alto, ma ben lontano dalle medie di lungo periodo del gas che oscillano intorno ai 20 euro per megawattora, dai costi di produzione pari a circa 10 euro a megawattora e ben lontani dal prezzo del gas americano che è scambiato a 21 dollari al megawattora. Di certo il danno maggiore alla Russia è arrivato dal blocco delle forniture di gas. Nel 2021 l’Europa importava 155 miliardi di metri cubi di gas e l’Italia ne prendeva 29 miliardi. Quest’anno l’Italia è scesa a 5 miliardi e l’Europa a 30, per quasi azzerarsi il prossimo anno. Si tratta di forniture che difficilmente la Russia potrà rimpiazzare spostando le sue consegne altrove. Un po’ di questo gas arriverà in Turchia e in Bulgaria, ma difficilmente potrà arrivare in Asia, perché le distanze sono enormi. In Cina, la Russia consegna oggi 30 miliardi di metri cubi e punta a raddoppiare, ma ci vorranno 5 anni di investimenti per arrivare all’obiettivo.
Il price cap sul gas è invece una sconfitta per le politiche energetiche dell’Unione europea, perché non stimola la ricerca di fonti alternative, ma semplicemente sposta la fornitura altrove. Alla Russia stanno subentrando l’Algeria, il Qatar, gli Stati Uniti e la Norvegia, trasferendo di fatto i soldi dei cittadini europei sempre nelle tasche di altri Paesi, alimentando la domanda di gas e perfino il prezzo.
Meglio sarebbe stato incentivare la transizione energetica, fissando non uno sconto sul gas ma un incentivo a chi utilizza energia rinnovabile. Lo stesso vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, presentando a luglio il piano emergenziale per le forniture di gas dell’Ue, aveva sottolineato che «il costo di transizione alle rinnovabili è più basso rispetto all’andare avanti con i combustibili fossili» e «più economico rispetto allo status quo» .