Il braccio di ferro tra Meloni e Forza Italia è superato. Oggi…

Francesco Verderami Corriere della Sera 21 dicembre 2022
Manovra, il braccio di ferro tra Meloni e Forza Italia e il timore che salti tutto
L’ex ministro Bonetti contempla il caos della maggioranza sulla manovra, poi gira le spalle e sussurra: «Più che un discussione parlamentare sembra un rave party».

All’apparenza è solo una battuta, in realtà è un atto di guerra: perché la sua citazione non è casuale, rimanda al decreto del governo che — per i tempi ristretti — rischia di saltare. È l’obiettivo dei renziani, è il costo che intendono far pagare a Palazzo Chigi per il braccio di ferro nel centrodestra sulla Finanziaria: sarebbe un tributo pesante, dato che nel provvedimento sui rave party è inserito il rinvio dell’entrata in vigore della riforma Cartabia sulla giustizia. Sarebbe una picconata per Meloni.
Un altro slittamento
Il punto è che da giorni nella maggioranza non tornano né i conti economici né i conti politici. Ed è un tutt’uno che nel primo pomeriggio induce il presidente della Camera a chiamare il titolare del Mef: «Giancarlo…», sospira Fontana. Dall’altro capo del telefono Giorgetti non ha bisogno di sentire altro. Il governo, che aveva promesso di presentarsi in commissione Bilancio alle quattordici, chiede uno slittamento (un altro) per le diciassette. Così, per effetto della liturgia parlamentare e dei tempi tecnici di cui necessitano gli uffici, il voto finale sulla manovra arriverebbe all’alba della vigilia di Natale. In Transatlantico appare il vice ministro dell’Economia Leo, che attribuisce la responsabilità dello stallo al tradizionale assalto alla diligenza dei parlamentari: «È che ognuno vuole presentare un emendamento. Come dobbiamo spiegarlo che non c’è una lira?». Ma il problema non può essere (solo) questo. In fondo le opposizioni non si sono mostrate barricadere. I deputati del Pd, che attendono sui divanetti la ripresa dei lavori, hanno la testa da un’altra parte. Discutono del Qatargate, «che poi di Qatar c’è poco. Il vero problema — confabulano tra loro — è il Marocco. Sono i fondi della cooperazione stanziati dall’Europa, decine di miliardi. E quando si saprà la vera storia, lo scandalo a Strasburgo si allargherà agli altri gruppi».

L’opposizione
Insomma dev’esserci dell’altro, sulla Finanziaria. I veterani dell’opposizione, che hanno all’attivo molte manovre e molte nottate insonni, hanno notato un fatto senza precedenti. Ad ogni legge di Stabilità, l’area limitrofa alla sala del Mappamondo — dove si riunisce la commissione Bilancio di Montecitorio — è sempre gremita di tecnici dell’Economia e della Ragioneria dello Stato: sono loro i sacerdoti dei conti pubblici, i veri estensori delle norme.

Solo che stavolta per giorni hanno disertato. E per giorni la Camera non ha votato neppure un emendamento. Così nell’opposizione hanno iniziato a pensar male e ritenendo di essere vicini alla verità hanno teorizzato che il governo volutamente stesse facendo «resistenza passiva».Il motivo si può ricavare dal modo in cui la premier ha risposto picche alle sollecitazioni di chi, da Forza Italia, insisteva per inserire nella Finanziaria uno scudo sui reati fiscali: «Non esiste. E se insistono, ci presenteremo in Parlamento con il testo della manovra approvato in Consiglio dei ministri».

Ecco cos’era quella «norma pruriginosa» a cui faceva riferimento un autorevole dirigente di maggioranza e sulla quale «c’è stata battaglia»: «Perché Tajani cerca sempre di fare da paciere, finché non arriva Ronzulli con l’accetta e si riparte. Questo clima non va bene. Poi ci sono anche gli inesperti e i dilettanti allo sbaraglio». La lista è lunga. Si parte dallo sgradevole battibecco tra il ministro per i Rapporti con il Parlamento e il terzopolista Marattin, che da Ciriani si è sentito dare del «miracolato, mentre io ho vinto il mio collegio con il 52%».

Lo scudo sui reati fiscali
E si arriva all’emendamento per il credito d’imposta alle imprese del Sud, che — racconta divertito un esponente azzurro — il governo prima ha bocciato e poi con un copia-incolla ha fatto suo e presentato. Si fa così?». Il rave party nella maggioranza termina nel tardo pomeriggio, quando il forzista Pella, uno dei relatori della manovra, annuncia che «non c’è alcun emendamento per uno scudo sui reati fiscali». L’opposizione, che era pronta all’ostruzionismo, ovviamente canta vittoria. Chi non può farlo è la vera vincitrice del braccio di ferro nel centrodestra: Meloni. Che lascia al suo capogruppo Foti il compito di smentire perfidamente l’alleato. Con una dichiarazione di conferma: «È vero, era solo la proposta di un singolo deputato…». La Finanziaria va. L’esercizio provvisorio sembra scongiurato. Sembra.

 

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