Il privilegio corrompe. Diamo una spiegazione alla orrenda parabola di Elon Musk

Paul Krugman La Stampa 21 dicembre 2022 
Web-democracy e nuovi oligarchi
Alcuni anni fa – credo che fosse il 2015 – imparai in pochissimo tempo quanto sia facile diventare una persona orrenda. Ero l’oratore principale di un congresso a San Paolo, in Brasile, e all’andata il mio volo subì un ritardo considerevole.

 

 

Temendo che potessi perdere il mio turno a causa del famigerato traffico cittadino, gli organizzatori predisposero che qualcuno venisse ad accogliermi in aeroporto e mi portasse in elicottero direttamente sul tetto dell’albergo.

Al termine del congresso, quando trovai un’automobile ad attendermi per tornare in aeroporto, per un minuto pensai: «Come? Dovrei andarci in macchina?». Per inciso, nella vita reale perlopiù vado in giro in metropolitana. In ogni caso, la lezione che appresi in quel momento di meschinità fu che il privilegio corrompe e gli è davvero molto facile dare origine alla sensazione di avere un diritto acquisito. Di sicuro, volendo parafrasare Lord Acton, un privilegio enorme corrompe enormemente, in parte perché i grandi privilegiati di regola sono circondati da persone che non oserebbero mai dire loro che si stanno comportando male. Per tutto questo la scena dell’autoimmolazione della reputazione di Elon Musk non mi sconvolge. Se mi incuriosisce? Sì, e a chi non capita? Però, quando un uomo immensamente ricco – abituato sia a ottenere tutto quello che vuole sia a essere anche un’icona ammirata – si trova non soltanto a perdere la considerazione di cui gode presso l’opinione pubblica ma anche a diventare oggetto generale di ridicolo è naturale che si scateni in modo irrazionale e, così facendo, rischi di peggiorare ancor più le cose.

Sarebbe molto interessante, a questo punto, chiederci perché siamo governati da persone di questo tipo, essendo ormai evidente che viviamo nell’epoca di presuntuosi oligarchi. Come ha fatto notare di recente Kevin Roose del Times, Musk ha ancora tanti ammiratori nel settore tecnologico. I suoi fan non lo considerano un ragazzaccio viziato e piagnucolone, ma uno che capisce come dovrebbe andare il mondo – ideologia che lo scrittore John Ganz definisce prepotenza, l’idea che le persone importanti non debbano rispondere delle loro azioni nei confronti del popolino, e nemmeno esserne criticati. Chi sposa questa ideologia naturalmente ha grande potere, anche nel caso in cui tale potere non si estenda ancora a proteggere gli emuli di Musk dal rischio di essere fischiati in pubblico.

Ma come è possibile?

In verità, non stupisce che il progresso tecnologico e il Prodotto interno lordo in aumento non siano riusciti a dar vita a una società felice e giusta. Le visioni pessimistiche del futuro sono state capisaldi sia di serie analisi sia della cultura popolare da quando ne ho memoria. In ogni caso, in genere tanto i critici sociali come John Kenneth Galbraith quanto gli scrittori intellettuali come William Gibson hanno sempre immaginato distopie corporativiste che soffocavano l’individualità, non società dominate da permalosi plutocrati egocentrici che fanno i capricci ostentando in pubblico le loro insicurezze.

Cosa è successo, dunque? In parte la risposta, naturalmente, va cercata nell’imponente concentrazione della ricchezza al vertice della società. Anche prima del fiasco di Twitter, in molti paragonavano Elon Musk a Howard Hughes nei suoi anni del tramonto. La ricchezza di Hughes, tuttavia, pur calcolata in dollari odierni, risulta del tutto irrilevante rispetto a quella di Musk, anche dopo il recente crollo delle azioni della Tesla. In generale, secondo le stime disponibili, oggi la ricchezza totale dello 0,00001 per cento della popolazione è superiore di quasi dieci volte a quella di quarant’anni fa. L’immensa ricchezza della super-élite moderna, naturalmente, oggi si accompagna a un potere immenso, ivi incluso quello di poter agire in modo puerile.

Al di là di questo, invece, molti supermiliardari – che un tempo tendevano a essere il più possibile riservati come classe sociale – oggi sono diventati vere e proprie celebrità. L’archetipo dell’innovatore che si arricchisce cambiando il mondo non è nuovo, ma risale quanto meno a Thomas Edison. Le grandi fortune in campo informatico, invece, hanno ribaltato questa narrazione in un culto in piena regola, con aspiranti Steve Jobs o suoi emuli che spuntano un po’ ovunque si guardi. In verità, il culto dell’imprenditore di genio ha avuto un ruolo immenso nella disfatta in corso delle criptovalute. Sam Bankman-Fried di Ftx non vendeva un prodotto tangibile né, da quello che si può dire, lo fanno coloro tra i suoi ex antagonisti che non sono finiti in bancarotta. Dopo tutto questo tempo, nessuno ha ancora capito come si possano usare le criptovalute nel mondo reale se non per riciclare denaro sporco. Ciò che vendeva Bankman-Fried, infatti, era un’immagine, quella di un visionario dai capelli scompigliati e dagli abiti impresentabili che preconizza il futuro come nessun individuo qualunque riuscirà mai a fare.

Elon Musk non appartiene proprio a questa stessa categoria. Le sue aziende producono automobili che circolano davvero e vettori che volano davvero. Ma di sicuro le vendite, e soprattutto il valore di mercato delle sue aziende, dipendono quantomeno in parte dalla forza del suo brand personale, che pare che egli non riesca a evitare di gettare sempre più alle ortiche giorno dopo giorno. Alla fine, Musk e Bankman-Fried potrebbero finire con l’essere costretti a svolgere per qualche tempo servizi socialmente utili, appannando così la leggenda dell’imprenditore geniale che ha arrecato tanti danni. Per il momento, comunque, le pagliacciate Twitter di Musk stanno rovinando quella che si era rivelata essere una risorsa preziosa, un luogo dove alcuni di noi si recavano per ottenere informazioni da persone che sapevano di che cosa stessero parlando. Adesso, il lieto fine appare sempre più improbabile. A proposito: se questo mio articolo dovesse essere bloccato da Twitter – o se il sito dovesse semplicemente oscurarsi per prevaricazione – potrete sempre seguire parte di quello che penso, insieme ai pensieri di un numero crescente di esuli di Twitter, su Mastodon. Traduzione di Anna Bissanti

© 2022, The New York Times

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