La libertà europea, gli odiosi idoli e i mezzi di comunicazione

Massimo Cacciari La Stampa 21 dicembre 2022 
Non c’è libertà se i cittadini non capiscono le leggi
In Occidente la fiducia verso la democrazia vacilla perché vengono emanati ordini sempre meno chiari

 

Ancora una volta, in questi anni di disordine globale, riemerge nei discorsi di chi dovrebbe guidarci, élites politiche, economiche, intellettuali, quella parola-chiave in forza della quale vorremmo distinguerci da altre culture e civiltà, l’idea che vantiamo come nostra proprietà, se non nostro esclusivo possesso: libertà. Non è certo vanagloria: quest’idea ha retto il tragico cammino dell’Occidente e senza di essa neppure sarebbe concepibile quella Tecnica, quell’immenso sistema di saperi scientifici e di apparati produttivi che ha finito di fatto per conquistare il globo.

La straordinaria novità di quest’epoca sta però nel fatto, di cui tutti ormai dovremmo essere coscienti, che lo sviluppo di quella Tecnica e la mobilitazione universale di risorse umane ed economiche che essa esige possono aver luogo anche in quei Paesi in cui l’idea di libertà che solo in Occidente si è formata non riesce ad affermarsi o viene apertamente contrastata dai loro regimi – regimi che dominano su metà almeno del pianeta.

L’idea di libertà ha condotto sì la nostra storia, dovendo però ogni volta essere riconquistata. In diversi momenti è sembrata a molti una zavorra che frena i meccanismi dello sviluppo e le procedure della decisione. Nelle epoche di svolta tende sempre a essere così. Allora anche l’Occidente ha invocato i Grandi Re all’orientale detestati da Atene.

Capi o duci che, si osservi bene, non sono affatto i dictatores romani: non soltanto perché questi erano chiamati secondo atti legali ad affrontare situazioni di evidente emergenza e temporalmente ben circoscritte, e come la missione finiva tornavano al loro mestiere, ma soprattutto perché non potevano in alcun modo agire arbitrariamente. Dittatura viene da dictare, che significa dire bene, dire con precisione, sapersi spiegare. Allora e soltanto allora al “dittatore” si deve obbedire. La libertà non contraddice la virtù dell’obbedienza, la libertà sa anche obbedire, ma soltanto quando comprende ciò che ascolta. E per comprendere è necessario che ciò che ci vien detto sia detto con chiarezza e coerenza, e che le leggi dettate siano bene leggibili. Quando l’emergenza sembra diventare infinita e gli ordini si susseguono piovendoci addosso da Autorità misteriose, autoproclamandosi inesorabili come leggi di natura, allora la libertà vacilla.

Non basta la Costituzione formale ad affermarla e custodirla. Tantomeno in crisi globali come quella che attraversiamo. Libertà significa un difficile, fragile quanto prezioso tessuto di concreti rapporti sociali: chi detiene il potere, in ogni campo, è tenuto a rendere trasparenti i propri atti, a esprimerli in modo che essi siano comprensibili e cioè criticabili. Egli può esigere obbedienza soltanto a questo patto. Libertà non ammette semplici esecutori. Chi esegue deve aver partecipato al processo che ha condotto alla decisione.

Deve sentirsene causa. Dove finisce la libertà? Là dove esistano semplici “manovali” del tutto separati dai mezzi di cui dispongono e del tutto ignari dei fini che con essi si perseguono. Libertà non esiste se qualsiasi lavoro non viene considerato anche lavoro dello spirito. Qualsiasi lavoro – e quanto più questo deve valere quando si tratti di un lavoro destinato non solo a informare, ma a formare una mente critica, quella disponibilità al confronto e alla discussione razionale senza di cui è inconcepibile l’idea stessa di democrazia. Il lavoro che si svolge nella scuola, nell’università e che devono o dovrebbero svolgere tutti i media.

In Occidente la proprietà obbliga. Che si tratti di élites politiche o di élites economiche, esse devono dare ragione di ciò che fanno prima di farlo. Soltanto agendo così appariranno legittime secondo la misura di quella libertà di cui troppo facilmente ci vantiamo. Dove da un lato il rapporto di produzione è rapporto di sfruttamento e, dall’altro, la critica viene imbavagliata, è l’Occidente a tramontare.

Dove è possibile separazione assoluta tra proprietà e lavoro dipendente, quando l’esercizio del dubbio e della critica sono considerati ostacoli e impedimenti, e ci si augura un popolo-massa che semplicemente ha fede in ciò che affermano tecnici, specialisti e politici, la libertà, almeno nel senso che lo spirito europeo ha dato al termine, si riduce a esercizio retorico. La legge, ogni ordine debbono sapersi giustificare per poter valere. «Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole» dice il Poeta, ma si riferiva al suo Dio. La libertà europea muore quando soggiace a dèi in terra, poiché sa che essi sono soltanto odiosi idoli. Essa è sottoposta in questa età a una prova decisiva. Immensa responsabilità da parte di chi deve rendercene consapevoli, di quei mezzi di comunicazione, anzitutto, che di quell’idea vogliono ancora, nonostante tutto, farsi bandiera.

 

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