Musk si suicida su Twitter via referendum, è delirio di onnipotenza

Riccardo Luna La Stampa 20 dicembre 2022
Gli utenti di Twitter licenziano Musk: punito il suo delirio di onnipotenza
L’imprenditore ha lanciato un sondaggio su se stesso e il 57,5% ha detto che deve lasciare la carica di ad


Elon Musk deve dimettersi da amministratore delegato di Twitter. Non lo diciamo noi, non lo dicono nemmeno i suoi detrattori. Lo dice un sondaggio online che lui stesso ha lanciato a sorpresa domenica sul suo profilo da 122 milioni di follower, promettendo di rispettarne l’esito. Non si sa cosa l’abbia spinto a questa mossa estrema ma va detto che il sondaggio era partito subito male e che invano ha provato a influenzarne l’esito avvertendo: «Attenti a quello che desiderate, perché potreste averlo», vale a dire, me ne vado davvero se vincono i sì. Il verdetto ieri, alle 12 ora italiana, quando al quartier generale di Twitter era ancora notte, è stato chiarissimo: per il 42,5 per cento Elon Musk deve restare al suo posto, per il 57,5 per cento deve andarsene.

Votanti, poco meno di diciotto milioni. Tanti, ma in fondo meno di un utente di Twitter su dieci: se fosse un referendum, in Italia, la consultazione sarebbe fallita per mancanza del quorum, il numero minimo di votanti, ma la regola di Musk è diversa, è una regola medievale, sintetizzata nella massima “Vox Populi Vox Dei”, questi sondaggi per lui sono legge. La voce del popolo, intesa come somma di milioni di clic, è la voce di Dio. Una nuova religione: la tecnologia che trasforma il populismo in una forma di governo in cui l’unica regola è che non ci sono regole. Le regole si fanno ogni volta con un voto.

Questa storia non inizia oggi. Fu un sondaggio a marzo a incoraggiare Musk a comprare il social network fondato da Jack Dorsey nel 2009 – e che da allora è in cerca di un modello economico profittevole -, quando nessuno al mondo pensava potesse farlo: e invece solo un mese dopo presentava l’offerta di acquisto da 44 miliardi di dollari, un importo totalmente slegato dal valore reale della società (che ai tempi era attorno ai 30 miliardi) e di cui non ha mai fatto mistero di essersi pentito. Ed è stato un altro sondaggio un mese fa a consentirgli di riammettere Donald Trump, bandito dai precedenti amministratori dopo l’assalto dei suoi sostenitori al Congresso del 6 gennaio 2020 (anche se Trump in effetti non è mai tornato su Twitter avendo nel frattempo raccolto 38 milioni di dollari per fondare un social alternativo per ora fallimentare). Ed è stato sempre un sondaggio, qualche giorno fa, a decidere la riammissione istantanea di una dozzina di giornalisti americani sospesi perché lo avevano criticato.

E’ stato quello il momento in cui si è capito che il grande innovatore era fuori controllo. E’ successo tutto nel giro di poche ore. Prima è entrato su Twitter Spaces, lo spazio per le chat audio di gruppo, dove i giornalisti cacciati e moltissimi altri stavano discutendo la cosa e dopo due domande ha lasciato la riunione e Twitter Spaces stesso per qualche ora non ha funzionato come se qualcuno lo avesse spento. Poi il profilo ufficiale di Twitter ha comunicato che la sospensione del profilo di Mastodon – un piccolo tentativo di fare concorrenza a Twitter con un progetto decentralizzato – era solo l’inizio: d’ora in poi sarebbero stati cancellati anche i profili che portano traffico a tutti gli altri social, compresi Facebook e Instagram.

Altro che baluardo della libertà di espressione. C’è stata una rivolta degli utenti: tra i tanti ha protestato Paul Graham con un tweet (“this is the last straw, è l’ultimo affronto, mi arrendo”) in cui annunciava l’intenzione di trasferirsi su Mastodon, ed è stato subito bannato (Graham non è un utente qualsiasi: è considerato il filosofo della Silicon Valley, il profeta dell’innovazione tecnologica e delle startup, ndr). Nel frattempo gli azionisti di Tesla erano in rivolta: era venuto fuori che Musk non aveva soltanto venduto molte azioni Tesla per finanziare l’acquisto di Twitter, ma stava continuando a vendere e il titolo a perdere: «Tesla non ha più un capo» ha detto uno degli investitori più ascoltati.

In questo contesto tragico Musk dapprima ha ostentato sicurezza («l’utilizzo di Twitter da parte degli utenti non è mai stato a questi livelli!» ha scritto e uno gli ha risposto «è come quando dai fuoco alla tua casa e la gente viene a vedere l’incendio»). E poi ha lanciato il sondaggio suicida: in un delirio di onnipotenza e forse solo di disperazione ha messo la sua testa sulla ghigliottina del popolo e il suo popolo l’ha fatta partire. E adesso che farà? Si dimetterà davvero? Molti pensano che dovrebbe farlo, intanto salvare Twitter il cui valore secondo il Wall Street Journal, in un mese e mezzo di gestione Musk, si è dimezzato (sarebbe di circa 15 miliardi di dollari): al suo posto, potrebbe andare Sheryl Sandberg che è stata a lungo il numero due di Mark Zuckerberg a Facebook contribuendo a trasformare una idea brillante in un’azienda miliardaria.

Ma dovrebbe lasciare anche per il suo bene: Musk in questi anni è stato alla frontiera più avanzata dell’innovazione, che fine ha fatto il suo genio? Negli Stati Uniti non lo paragonano più a Leonardo da Vinci ma alla vecchia signora di una filastrocca che morì per aver ingoiato una mosca (e poi via via animali sempre più grandi che mangiassero il precedente). Se Musk ha un amico è il momento che si faccia avanti e gli dica come stanno le cose.

 

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