Francesco Grignetti, Francesco Olivo La Stampa 22 dicembre 2022
I veleni di FdI e Lega sullo scudo penale: “Forza Italia vuole leggi ad personam”
Il blitz fallito sulle misure per gli evasori alimenta i sospetti degli alleati verso gli azzurri. La corsa di Meloni e Giorgetti per limitare le agevolazioni alle aziende in crisi per il Covid
Hanno superato lo scoglio più complicato, ma ne portano addosso tutti i segni. La maggioranza litiga sulla paternità del tentato e fallito blitz sui reati fiscali. Gli strascichi per la giornata infernale di martedì dureranno ancora a lungo. Lo scontro ora coinvolge anche i ministri. Se le tensioni sulla manovra sono fisiologiche, la lite feroce sulla depenalizzazione per i reati fiscali ha seriamente rischiato di far saltare il banco e quindi di mandare in frantumi la maggioranza al primo appuntamento serio della legislatura.
Ieri a Montecitorio era una giornata finalmente di quiete, ma tra i corridoi serpeggiavano i veleni incrociati. Che a togliere il colpo di spugna dalla manovra sia stata Giorgia Meloni in persona non è un mistero e nemmeno che lo abbia fatto in maniera piuttosto ruvida. Ma chi è stato a tentare il blitz? (Se di blitz davvero si è trattato, nei palazzi se ne discuteva da un mese). La risposta non è univoca. Anzi. La premier evita di entrare pubblicamente nella vicenda. L’intervista con Bruno Vespa, prevista per ieri è slittata a oggi, ufficialmente per una febbre, che in molti nella maggioranza ritengono diplomatica o per lo meno opportuna.
Il ministro dello Sviluppo economico Urso è netto: «Lo scudo penale per i reati fiscali? È una richiesta di una forza di maggioranza». Il riferimento a Forza Italia è chiaro. Poco prima il viceministro della Giustizia Sisto aveva dato una versione diversa: «La proposta sullo scudo nasce da uno studio interministeriale, promosso dal Mef e dal ministero della Giustizia – dice a Radio anch’io – Abbiamo avuto degli incontri in cui si è discusso della possibilità di garantire il maggior recupero possibile dell’evasione nella cosiddetta tregua fiscale. In una delle riunioni, a cui ho partecipato assieme al collega del Mef Maurizio Leo». Quest’ultimo è un fedelissimo di Meloni e chiamarlo in causa ha un significato chiaro.
Ma quello che scorre sottotraccia è qualcosa di più di un mero scaricabarile. I veleni scorrono al punto che Fratelli d’Italia e Lega arrivano a sospettare che dietro a tanta insistenza da parte di Forza Italia ci sia qualche interesse privato. Dietro anonimato i dirigenti del Carroccio e di FdI accusano il viceministro Sisto di «aver voluto fare una norma ad personam, come accadeva un tempo». E che i due partiti lo abbiano bloccato in extremis. Allusione feroce, che mira chiaramente a Silvio Berlusconi, il patriarca di Forza Italia, sia pure senza citarlo. Dice una voce perfida: «Il lupo perde il pelo, non il vizio». Da Arcore si nega, con una certa indignazione: il Cavaliere non sarebbe stato al corrente della proposta «e non minimamente interessato al tema». I parlamentari più vicini a Berlusconi sottolineano che «se fosse stato davvero una nostra priorità l’avremmo fatta passare, ma non è così».
I dettagli sulla battaglia di martedì continuano a emergere. Pare che il testo dell’emendamento, ora disconosciuto da tutti, sia arrivato sulle chat di ministri e sottosegretari all’ultimo momento. Qualcuno fa circolare la voce che nemmeno il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ne sapesse nulla. Da quel momento è iniziata una rincorsa a bloccarlo. Che ha coinvolto, come detto, anche la stessa Meloni, oltre a Giancarlo Giorgetti. Si racconta che ci sia stata una riunione di maggioranza molto tesa. A Sisto che rivendicava la bontà dell’emendamento, e diceva come «dentro ci siano solo reati non dolosi, certo non i reati fraudolenti tipo la falsa fatturazione», hanno replicato duramente che l’omessa dichiarazione o la dichiarazione infedele «ben difficilmente puoi farli passare per reati colposi».
Dice una autorevole fonte di FdI: «L’accordo politico sulla tregua fiscale è chiaro: noi andiamo incontro a chi non ce la fa ad onorare le tasse per colpa del Covid o della crisi conseguente alla guerra; altro è aiutare i furbi o gli evasori. Per questo motivo non c’entrano nulla i reati fiscali».
Il clima non è buono nemmeno all’interno della Lega. Domenica scorsa il ministro dell’Economia Giorgetti aveva accusato il presidente della Camera Lorenzo Fontana, di «eccesso di zelo», per la decisione di “spacchettare” il maxiemendamento in commissione bilancio, dilatando i tempi. I due sono entrambe vicesegretari del Carroccio e, anche per questo, a Fontana la polemica è sembrata fuoriluogo, oltre che ingiusta, perché la prassi di Montecitorio è consolidata. Consultando gli archivi poi si trova un precedente curioso del 2008. Giorgetti allora era presidente della commissione bilancio e nel corso di una seduta disse no alla richiesta di un deputato dell’Italia dei Valori: «Giorgetti – si legge nello stenografico della seduta dell’8 luglio – in risposta alle considerazioni del deputato Borghesi, rileva che non si può prospettare in Commissione la presentazione di maxiemendamenti». Il Giorgetti presidente di commissione disse no al Giorgetti ministro.