Emanuele Lauria La Repubblica 22 dicembre 2022
Da Ciriani a Freni e Pella gli sherpa della destra alla prova del rush finale
È toccato al ragionier Roberto Pella, discreto navigatore della Camera dal 2018, dare l’annuncio: «Non presentiamo l’emendamento sullo scudo fiscale ».
Parole che, in una sala del Mappamondo diventata un suk, sono state accolte con discreto, si fa per dire, entusiasmo dalla capogruppo del Pd Debora Serracchiani: «Vittoria!». Scene di ordinario caos del rush finale della manovra in commissione Bilancio, due notti da tregenda, nel corso delle quali – in un via vai di parlamentari, funzionari e lobbisti sono emerse definitivamente le figure degli sherpa della Finanziaria, i player meno noti che hanno portato sul tavolo le istanze del governo o del proprio partito, hanno bloccato iniziative sgradite, hanno cucito e ricucito fra maggioranza e opposizione. Pella, per dire, è uno dei relatori della manovra. Ed è stato lui, assieme al capogruppo di FI Alessandro Cattaneo, il braccio armato di Silvio Berlusconi che ha difeso pensioni minime e sgravi per gli under 36.
In uno degli snodi fondamentali della manovra, appunto lo stop al salva-evasori, Pella ha solo preso atto di una volontà superiore, quella maturata tra Meloni e Giorgetti. La premier e leader di Fratelli d’Italia in commissione Bilancio si è avvalsa di un altro relatore, Paolo Trancassini, coordinatore di FdI nel Lazio e fedelissimo di Francesco Lollobrigida: l’uomo che – naufragata l’idea di una cabina di regia proposta senza troppoentusiasmo dal ministro per l’Agricoltura – si è assunto l’onore e l’onere di rappresentare il partito guida della coalizione. E di dar voce alle battaglie di cui Meloni ha poi pubblicamente parlato: come la norma sulla rivalutazione delle pensioni. In realtà, ruolo più attivo ha avuto lalonga manus del ministro dell’Economia, il leghista Federico Freni, che ha potuto far valere la sua esperienza di sottosegretario al secondo mandato. Non senza fatica: quando la coperta (ovvero la copertura finanziaria) è risultata troppo corta – ed è accaduto più volte – Freni è stato sentito sbottare: «Mi mandano all’avanscoperta e sono sempre io a metterci la faccia». Vabbé, momenti di tensione tipici di ore convulse come quelle di una Finanziaria arroventata.
Freni, più che il viceministro Maurizio Leo – teorico di flat tax e tregua fiscale che nell’agone si è visto di meno – ha svolto un ruolo politico assieme al ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani: quest’ultimo una presenza fissa nelle giornate che hanno preceduto lo sbarco in Aula della manovra. Ciriani si è sottoposto a una serie infinita di incontri bilaterali con i rappresentanti di ogni partito, cercando di mediare sulle norme dell’opposizione, ma anche delle stesse forze di maggioranza, che potevano favorire lo sblocco delle trattative. Ora, per carità, i compromessi sono compromessi e non sempre al rialzo: nel fascicolo approvato in commissione, a titolo di puro esempio, c’è pure un fondo da sette milioni di euro per il borgo di Pentadattilo, tre per il lido comunale Zerbi, tre per lo stabilimento termale Antonimino Locri. Una pioggia di risorse su Reggio Calabria, distribuita dal deputato forzista (e reggino, of course) Francesco Cannizzaro. E poi 1,5 milioni di euro per il fondo cammini religiosi, 500 mila euro per la Confederazione delle misericordie d’Italia. Interventi che non danno propriamente il senso di una manovra improntatta all’austerity. Anche su queste prebende hanno dovuto mediare gli sherpa del centrodestra.
Solo per le grandi questioni sono intervenuti i big. Come nel caso- simbolo del ritiro della norma sul Pos, negoziata a Bruxelles dal ministro degli Affari europei Raffaele Fitto. Una decisione fatta pervenire discretamente nella piazza animata della commissione Bilancio. Perché il peso dei registi, alla fine, si fa sempre sentire.