Uski Audino La Stampa 22 dicembre 2022
Morawiecki: “Meloni ed io cambieremo l’Europa, basta il potere ai soliti Paesi forti”
Il primo ministro polacco: «Non crediamo in un Superstato a 27, ma al ritorno dell’Unione delle patrie. Bene l’Italia sui migranti: respinto chi entra illegalmente. La guerra finirà solo con la sconfitta di Putin»
«I polacchi e gli italiani sono stufi dei diktat della burocrazia europea» e «vogliono rinnovare l’Ue». Lo sostiene il premier polacco Mateusz Morawiecki nella sua prima intervista scritta a un quotidiano italiano dalla nascita del nuovo governo.
Quali sono i punti in agenda in comune con la premier Meloni?
«Un’Europa delle patrie più che un Superstato europeo: entrambi potremmo sottoscrivere questo postulato. I polacchi e gli italiani sono stufi dei diktat della burocrazia europea e vogliono una vera democrazia. Vogliamo rinnovare l’Ue tornando ai suoi principi fondanti. Insieme al primo ministro Meloni stiamo anche difendendo l’Ucraina. Abbiamo una visione realistica della minaccia rappresentata dalla Russia. La politica neo-imperialista di Vladimir Putin è un grave pericolo non solo per Kiev, ma per l’intera Europa». Meloni ha detto che «non crede a un’Europa di serie A e a una di serie B», lei ha sostenuto a Die Welt che «c’è un chiaro deficit di libertà e di uguaglianza anche nell’eurozona» e che «la pratica ha mostrato che la posizione di Germania e Francia contano di più di altre».
Italia e Polonia si trovano nella stessa posizione?
«Ci troviamo di fronte alla scelta tra una vera solidarietà di Stati uguali e un unico Superstato in cui le carte vincenti sono in definitiva nelle mani dei Paesi più grandi, escludendo gli altri. Se l’Ue diventa un mero mezzo per soddisfare le ambizioni degli attori più forti, nel migliore dei casi emarginerà gli Stati più deboli e nel peggiore porterà alla disintegrazione del progetto europeo. Vale la pena notare che se la Germania fosse oggi alla guida dell’Europa, non ci sarebbe una posizione ferma nei confronti della Russia. Stiamo già pagando un prezzo enorme per gli errori della politica tedesca in particolare, ma se Berlino dovesse decidere su tutto il prezzo sarebbe ancora più alto. L’Ue è stata creata affinché i singoli Stati potessero svilupparsi al meglio delle loro possibilità, alcuni più in fretta altri meno, ma sempre tenendo conto delle loro condizioni economiche. Le differenze non sono una giustificazione per ignorare gli interessi degli altri Stati membri, tanto meno l’indipendenza dell’intera comunità – come nel caso del gas russo a basso costo, che avrebbe dovuto essere una benedizione per la Germania ed è diventato una maledizione per tutta l’Europa».
Lei ha scritto: «La valvola di sicurezza che protegge l’Ue dalla tirannia della maggioranza è l’unanimità» e sostiene che l’abolizione del voto a maggioranza aumenterebbe il potere dei Paesi più forti. Vuole far fronte comune con Meloni su questo? Ma non è proprio l’unanimità la causa della lentezza della Ue che i cittadini europei lamentano?
«O c’è la regola dell’unanimità o c’è la tirannia del più forte. Un’altra opzione non si dà. Inoltre, la regola dell’unanimità non si applica nei settori che abbiamo concordato di mettere in comune. Chi cerca di spingere per l’abolizione dell’unanimità vuole perseguire i propri interessi. Invece di essere persuasivi, è più facile bocciare gli altri con una semplice maggioranza. Solo che in questo caso gli Stati più piccoli potrebbero perdere la loro voce e dover cercare dei “padrini” politici che si occupino dei loro interessi. L’unanimità si basa sul principio che il voto di ogni Stato è ugualmente importante. Abbandonarlo è la strada per il clientelismo politico».
Lei sostiene che la migrazione dovrebbe essere gestita come una questione di sicurezza delle frontiere e non focalizzarsi sulla distribuzione dei migranti in Ue. Pensa che affrontare il fenomeno così significhi far sparire in automatico il problema della distribuzione?
«Credo che valga la pena ricordare l’esempio della Polonia. Diversi mesi fa, in seguito alle provocazioni di Russia e Bielorussia, migliaia di migranti che volevano entrare illegalmente nell’Ue sono stati portati al confine con la Polonia. Queste persone non volevano rimanere in Polonia. La loro destinazione erano i Paesi dell’Europa occidentale. Allora nessuno voleva che li accogliessimo e li traghettassimo in Germania. Era nostro dovere fermarli al confine e rimandare quelli che riuscivano a passare nel loro Paese d’origine. Lo abbiamo fatto perché prendiamo sul serio il nostro dovere di proteggere il confine orientale dell’Ue».
Come si può gestire il controllo delle frontiere marittime in pratica, pattugliando le coste con le armi e lasciando morire chi tenta la via del mare?
«Chiunque voglia entrare nell’Ue deve rispettare il diritto internazionale. Non siamo una fortezza circondata da filo spinato. Si può entrare nell’Ue senza problemi, trovare un lavoro – basta farlo secondo le regole di ogni Paese. Al contrario, chi entra illegalmente nell’Ue dovrebbe essere rimandato indietro. Non è una questione di violenza, ma di diritto».
Lo scandalo Qatar indebolisce l’autorevolezza delle istituzioni europee? Cosa succede se la loro credibilità si danneggia? Quali effetti ha su quei Paesi sotto procedura di infrazione?
«Il Parlamento europeo si presenta come il custode dello Stato di diritto, quindi dovrebbe essere un modello da seguire. Il caso del denaro del Qatar dato al vice capo del Parlamento europeo è uno scandalo enorme. Il deficit democratico di cui si parla da tempo nell’Ue si è trasformato in un “deficit dello Stato di diritto”. L’Europarlamento deve chiarire la questione al più presto e in modo del tutto trasparente. I cittadini hanno anche il diritto di sapere qual è la struttura del lobbismo nel Parlamento Europeo, chi e come contatta gli eurodeputati e da quali fonti provengono i loro compensi aggiuntivi. Il diritto europeo deve essere creato per conto e nell’interesse degli europei, non su richiesta di altri Paesi, organizzazioni o società».
La Polonia è uno dei Paesi più esposti alla minaccia russa. Tra poco ospiterete i Patriot offerti dalla Germania. Vi sentite abbastanza sostenuti nella Ue o la guerra ha rinsaldato solo i legami con quei Paesi storicamente esposti all’influenza russa come Finlandia e Baltici?
«La Polonia aveva ragione sulla Russia fin dall’inizio. Abbiamo avvertito che le distorte ambizioni coloniali della Russia erano una minaccia immensa per i Paesi dell’Europa orientale e per l’Ue nel suo complesso. Dobbiamo fare tutto il possibile per aiutare l’Ucraina, perché se Kiev cade, Mosca avrà campo libero per conquistare l’Europa. Nel 2008, quando la Russia invase la Georgia, l’allora presidente Lech Kaczynski parlò del piano del Cremlino per un assalto geopolitico al mondo: prima la Georgia, disse, poi l’Ucraina, poi gli Stati baltici e infine la Polonia. L’Europa deve essere preparata a questa eventualità e deve contrastare questi piani. Purtroppo, le reazioni di alcuni Paesi dell’Ue, soprattutto quelli che hanno i mezzi e le risorse per aiutare efficacemente l’Ucraina, sembrano essere troppo riluttanti. Non a caso, i Paesi che temono un’aggressione russa nel prossimo futuro, hanno iniziato a porsi una domanda inquietante: cosa faranno i Paesi occidentali se la Russia ci attacca? In Europa si è formata una comunità di Stati consapevoli della minaccia, una comunità di conoscenze e di esperienze spiacevoli. I Paesi dell’Europa centrale, orientale e della Scandinavia ricordano ancora il dominio russo. Nessuno di loro ha fretta di tornare nell’abbraccio di Mosca. Ecco perché oggi pensiamo a proteggerci, a metterci in sicurezza dalla minaccia che arriva da Est».
Il resto del mondo fuori dall’Europa guarda al conflitto in Ucraina come a una guerra tra europei, che però genera ripercussioni globali. Quanto tempo prevede prima che ci sia un tavolo negoziale tra Russia e Ucraina?
«In un mondo globalizzato non esistono conflitti locali. A seguito della guerra in Ucraina, i prezzi delle materie prime sono saliti alle stelle e le maggiori economie mondiali stanno assistendo a livelli di inflazione mai visti da anni. La minaccia di carestie e crisi umanitarie incombe nelle regioni dell’Africa e del Medio Oriente. È diventata anche un pretesto per aumentare l’attività cinese nella regione dello Stretto di Taiwan. La solidarietà con un’Ucraina invasa è un chiaro segnale al resto del mondo che qualsiasi azione aggressiva riceverà una seria resistenza. Per questo, non possiamo permetterci di essere indecisi. L’Europa dovrebbe creare circostanze tali per cui il ritiro sia l’unica opzione per il Cremlino. Saremmo certamente molto più vicini a questo punto se le sanzioni alla Russia fossero imposte in modo più rapido e se gli aiuti militari promessi arrivassero a Kiev».
Temete che gli Usa facciano pressione per una rapida conclusione del conflitto?
«La pressione ha senso solo a una condizione: che la pace che ne deriva sia permanente e non temporanea. L’errore più grande sarebbe un cessate il fuoco di breve durata che permetterebbe alla Russia di preparare un altro attacco ancora più efficace. Per evitare questo, la Russia deve capitolare e l’imperialismo russo deve perdere una volta per tutte. È l’unico modo per porre fine alla guerra».