Zelensky: “L’Ucraina è viva e resiste,. Grazie America”

Alberto Simoni La Stampa 22 dicembre 2022
Gli applausi del Congresso Usa a Zelensky: “L’Ucraina è viva e resiste, siamo ancora in piedi. Grazie America”
Il presidente ucraino: «Putin deve essere fermato poiché altrimenti porterà avanti altre aggressioni»

Corrispondente da Washington. Quando Nancy Pelosi annuncia l’ingresso in aula di Volodymir Zelensky, dai senatori e deputati riuniti per una Joint Session del Congresso parte un applauso lungo, pieno, gonfio di emozione che toccherà alla stessa Speaker a un certo punto provare a spegnere.

Sul podio, intanto, il presidente ucraino che ha percorso il piccolo corridoio dell’emiciclo stringendo mani, ha gli occhi lucidi ed è visibilmente commosso da un’accoglienza che forse nemmeno lui si attendeva. «Penso sia un po’ troppo per me», dice due volte mentre ringrazia. Sono le 7,36 e Zelensky da meno di due ore ha lasciato la Casa Bianca, da meno di cinque è sul suolo americano e sa che prima delle 10 risalirà sul Boeing che l’ha portato nella notte dalla Polonia all’appuntamento con la leadership americana per fare ritorno in patria.

Davanti ai “congressmen” che si spellano le mani e gli tributano più volte una standing ovation durante i 25 minuti di discorso, Zelensky ringrazia il popolo americano per il sostegno, il Congresso per gli aiuti e tocca le corde dell’emozione quando parla del Natale, che gli ucraini festeggeranno con le candele senza luce, nei bunker ma senza perdere la fiducia della vittoria. “Tutti noi ucraini vogliano la stessa cosa: la vittoria, solo la vittoria”.

I temi sono quelli che già nell’incontro con Biden ha toccato, ma è il palcoscenico che Pelosi gli regala a rendere il suo intervento dolce e duro allo stesso tempo, emozionante e determinato.

Agli americani dice che “i vostri soldi non sono per la carità, ma un investimento nella sicurezza globale” sottolineando come in un mondo interconnesso e interdipendente quel che accade in Ucraina non può restare confinato fra Leopoli, Odessa e Kharkiv. E’ una chiamata a continuare a garantire aiuti economici e militari. Quindi parla dei Patriot, “per difendere la nostra libertà”, e così come aveva scherzato con Biden, dice che serviranno ancora armi.

L’Ucraina è stata bersagliata e continua a esserlo, ma “è viva e resiste”. Il presidente ricorda i dieci mesi di conflitto e la resistenza stoica di città come Bakhmut, “sotto il fuoco da maggio ma ancora in piedi”. La città diventa l’esempio della barbaria e della resistenza: “Vivevano 70mila persone, ore restano pochi civili”, dice Zelensky. Ma “le nostre forze di difesa resistono”, scandisce fra gli applausi, sottolineando che la “nostra terra mai si arrenderà”. E’ il preludio per chiedere un altro sforzo agli americani. «Abbiamo abbastanza artiglieria? Non proprio», dice con candore come aveva fatto poco prima con Biden sui Patriot. E quindi mostra la disponibilità alla pace, «Abbiamo un piano in dieci punti che anche Biden supporta».

Ci sono altri due elementi che Zelensky tocca. Il primo è la richiesta di rafforzare le sanzioni contro la Russia. Il secondo è il tentativo di staccare i russi dal Cremlino, dipingendo il popolo come una vittima delle azioni di Putin che «deve essere fermato poiché altrimenti porterà avanti altre aggressioni».

Alla fine, Zelensky dà una bandiera ucraina con le firme dei soldati in prima linea a Pelosi e a Kamala Harris seduta al suo fianco. Si chiude con gli applausi, gli smartphone dei deputati che s’illuminano scattando foto mentre il presidente di un Paese non Nato, che non ha un trattato di relazione speciale con l’America lascia i riflettori con l’idea che la missione – qui a Washington – è compiuta. Per una volta, rarità nella recente storia americana, repubblicani e democratici si sono trovati d’accordo ad applaudire la medesima persona, per la medesima causa e il medesimo obiettivo.

 

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