Embargo e price cap, così le esportazioni di petrolio russo si sono dimezzate

Fabrizio Goria La Stampa 23 dicembre 2022
Embargo e price cap, così le esportazioni di petrolio russo si sono dimezzate: ecco come funzionano le sanzioni
Nella prima settimana di stop all’export di greggio, Mosca ha subìto il colpo. In calo il passaggio dal Baltico. Il rublo crolla contro euro e dollaro ai minimi da fine aprile

 

L’embargo al greggio e il tetto al prezzo del gas russo messi in campo dall’Unione europea iniziano ad avere i loro effetti. Non solo sul valore del metano sul mercato, tornato sotto quota 100 euro per MWh, livello che non si registrava dallo scorso giugno. Ma anche per via della progressiva estromissione della Federazione Russa dai mercati di riferimento. Come spiega Reuters, le sanzioni introdotte dall’Ue potranno ridurre l’esportazione di petrolio russo, attraverso il Mar Baltico, del 20 per cento. A quasi un anno dall’invasione russa in Ucraina, si tratta di un ulteriore colpo all’economia del Paese.

Ci è voluto tempo perché fossero effettive, come aveva preavvisato più volte la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ma l’entrata a regime delle sanzioni morde nel cuore Mosca. Come riportato da Bloomberg, nella settimana terminata il 16 dicembre, che ha segnato i primi sette giorni di embargo completo del greggio russo, i volumi totali in uscita dalla Russia sono diminuiti di 1,86 milioni di barili al giorno, pari al 54%, a circa 1,6 milioni. E anche la media di quattro settimane è scesa a un nuovo minimo per il 2022. I segnali, hanno rimarcato gli economisti di Bloomberg, indicano anche una carenza di armatori disposti a trasportare petrolio russo da un impianto di esportazione in Asia. A questo però si aggiunge il contraccolpo sul petrolio degli Urali, che in genere veniva esportato attraverso il Baltico.

Secondo i dati dei trader e i calcoli effettuati da Reuters, le esportazioni del greggio degli Urali dai porti del Mar Baltico scenderanno probabilmente a circa 5 milioni di tonnellate questo mese dai 6 milioni di tonnellate di novembre. Alcune stime parlano di 4,7 milioni di tonnellate. Ed è il frutto della concertazione dei Paesi del G7, che hanno introdotto un prezzo massimo di 60 dollari al barile sul petrolio russo, in vigore dal 5 dicembre, in aggiunta all’embargo dell’Unione Europea sulle importazioni di greggio russo via mare e impegni simili da parte di Stati Uniti, Canada, Giappone e Regno Unito. Il limite, in questo caso, consente ai Paesi non Ue di importare greggio russo trasportato via mare, ma vieta alle compagnie di spedizione, assicurazione e riassicurazione di movimentare carichi di greggio russo in tutto il mondo, a meno che non sia venduto a meno di 60 dollari. Così facendo, non ci sono – da un punto di vista fattuale – abbastanza tanker per trasportarlo a un prezzo così basso. Nonostante a dicembre il greggio marchiato Urals sia stato venduto con sconti maggiori e l’acquirente dominante, l’India, abbia acquistato barili a un prezzo ben al di sotto del limite massimo di 60 dollari.

Anche sull’onda delle sanzioni, l’economia della Federazione continua a osservare un rallentamento dell’attività produttiva e, sotto il profilo valutario, la situazione è peggiorata. Il rublo sta continuando a perdere terreno nei confronti di euro e dollaro. Secondo l’agenzia Interfax, alla Borsa di Mosca l’euro è stato scambiato a oltre 77 rubli per la prima volta dal 27 aprile, mentre il dollaro è stato scambiato a oltre 72 rubli per la prima volta dal 29 aprile. Ulteriore prova che, dopo due settimane dall’entrata in vigore dell’embargo Ue, l’efficacia è reale. Con la conseguenza che per Mosca l’inverno potrà essere ben più lungo di quanto previsto dal presidente Vladimir Putin.

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