Marcello Sorgi La Stampa 23 dicembre 2022
Finanziaria senza né capo né coda
L’ombra della notte di Natale passata alla Camera a votare e a rimettere a posto la maionese impazzita della legge di stabilità si è allungata ieri pomeriggio nei corridoi di Montecitorio.
Faceva sera nella Capitale, uno di quei tramonti rosati che avvolgono i tetti della Roma monumentale. Alle 17,30 i lavori dell’aula, già rinviati dalle 15,30, venivano nuovamente posticipati alla sera, l’inizio di un’altra notte disperata con i deputati in attesa tra il Transatlantico al pianterreno e il quarto piano, dov’è la sede della Commissione Bilancio, e i fogli dei testi affidati a commessi che fanno su e giù. A memoria dei cronisti più anziani (deputati di una certa età non ce ne sono quasi più), mai il lavoro conclusivo della sessione di bilancio aveva assunto dimensioni più drammatiche.
Perché è evidente che nella gran fretta e confusione di questi giorni, non c’è più nessuno che riesce a tenere il bandolo della matassa, né il governo, né i gruppi parlamentari, né i funzionari del Parlamento, che non sanno più chi seguire o a chi segnalare le evidenti incongruenze della bozza finale: teoricamente, ma non è detto, da approvare entro domattina.
La botta conclusiva è arrivata con un documento della Ragioneria dello Stato, il rigoroso organismo del ministero del Tesoro, unico autorizzato a “bollinare” – a dire, in altre parole, che i soldi per determinate spese ci sono – che ha trasmesso al Parlamento ben 44 “rilievi” su provvedimenti appena votati. Già qui emerge il disordine di un lavoro senza capo né coda. Perché la Ragioneria dovrebbe essere interrogata prima, e non dopo la votazione dei testi, in modo da poter intervenire prima dell’approvazione parlamentare. Di testi corretti a penna, scarabocchiati, cancellati più e più volte, ne circolano una quantità in queste ore: salgono e scendono su per le scale e a un certo punto, non si sa come, vengono messi ai voti, in commissione per poi passare all’aula. Ieri appunto in aula questa macchina infernale che andava avanti e indietro senza che più nessuno stesse al volante è stata fermata prima di fare altri danni.
Dei 44 punti sollevati dalla Ragioneria, 22 si riferiscono ad emendamenti che potrebbero rivelarsi più costosi del previsto. Altri 21 sono semplicemente scritti male, da riformulare o precisare meglio. Prendiamo ad esempio la proroga dello “Smart working” per i lavoratori “fragili”: è risultata senza copertura, perché si tratta di ricoprire costi aggiuntivi di personale che, pur avendone diritto, non può svolgere mansioni a distanza. Come gli uscieri, che se non vengono a lavorare dovranno essere sostituiti e peseranno sul bilancio delle singole unità.
Quattrocentocinquanta milioni – una cifra non trascurabile in una legge che, esclusa la parte riservata al caro bollette, conta su tredici-quattordici miliardi per tutte le altre necessità – sono stati assegnati ai Comuni, ma senza verificare di averli in cassa. La Ragioneria obietta. La maggioranza accusa il Pd di aver presentato l’emendamento al solo scopo di ostruzionismo. Il Pd sostiene che l’emendamento attribuito all’opposizione per “un errore di numerazione”, in realtà porterebbe la firma di Fratelli d’Italia, il partito della premier Meloni. Se fosse confermato, si tratterebbe di un inspiegabile caso di hara-kiri.
I fondi per la “carta giovani”, cancellati proprio mentre venivano stanziati quelli per sanare i bilanci delle squadre di serie A, alla fine sono stati ritrovati nelle pieghe del bilancio di quest’anno. Possibile? Impossibile, si oppone la Ragioneria, si parla di soldi già spesi. Anche sulla soglia di contanti del Pos, aumentata, ridotta, alla fine cancellata (prima, clamorosa marcia indietro del governo) ci sono dubbi: la commissione che dovrà ridefinire le regole potrebbe produrre nuovi costi. Inoltre il condono penale dell’evasione fiscale, ritirato perché ritenuto impresentabile,(seconda rumorosa retromarcia) continua a circolare in originale e in fotocopia. D’altra parte una legge che constava all’inizio di 138 articoli è arrivata, al fixing di ieri sera, a 338, quasi triplicata. Il testo completo non esiste, i fogli volano da un faldone all’altro, è inevitabile che si perda qualcosa, e l’errore salta fuori sempre un minuto dopo che il problema era stato considerato risolto.
A sovrintendere a tutto questo lavoro c’è il ministro leghista dell’Economia Giorgetti, che fa quel che può ma non sa più dove mettere toppe. Il sottosegretario leghista Freni, impegnato sul fronte del Parlamento: pure lui fa quel che può, ma sembra ormai aver perso il controllo della situazione. Il ministro dei Rapporti con il Parlamento Ciriani, di Fratelli d’Italia, alla sua prima esperienza in quest’incarico è al battesimo del fuoco. Neanche a dirlo, fa quel che può: ma non basta. La premier Meloni ha dovuto ammettere che il “rodaggio” è stato faticoso e la prossima volta si dovrà “migliorare”. Il governo appena nato, sulla legge di stabilità, in sostanza si gioca la faccia. Anzi, se l’è già giocata.
Finanziaria senza né capo né coda
Marcello Sorgi La Stampa 23 dicembre 2022
Finanziaria senza né capo né coda
L’ombra della notte di Natale passata alla Camera a votare e a rimettere a posto la maionese impazzita della legge di stabilità si è allungata ieri pomeriggio nei corridoi di Montecitorio.
Faceva sera nella Capitale, uno di quei tramonti rosati che avvolgono i tetti della Roma monumentale. Alle 17,30 i lavori dell’aula, già rinviati dalle 15,30, venivano nuovamente posticipati alla sera, l’inizio di un’altra notte disperata con i deputati in attesa tra il Transatlantico al pianterreno e il quarto piano, dov’è la sede della Commissione Bilancio, e i fogli dei testi affidati a commessi che fanno su e giù. A memoria dei cronisti più anziani (deputati di una certa età non ce ne sono quasi più), mai il lavoro conclusivo della sessione di bilancio aveva assunto dimensioni più drammatiche.
Perché è evidente che nella gran fretta e confusione di questi giorni, non c’è più nessuno che riesce a tenere il bandolo della matassa, né il governo, né i gruppi parlamentari, né i funzionari del Parlamento, che non sanno più chi seguire o a chi segnalare le evidenti incongruenze della bozza finale: teoricamente, ma non è detto, da approvare entro domattina.
La botta conclusiva è arrivata con un documento della Ragioneria dello Stato, il rigoroso organismo del ministero del Tesoro, unico autorizzato a “bollinare” – a dire, in altre parole, che i soldi per determinate spese ci sono – che ha trasmesso al Parlamento ben 44 “rilievi” su provvedimenti appena votati. Già qui emerge il disordine di un lavoro senza capo né coda. Perché la Ragioneria dovrebbe essere interrogata prima, e non dopo la votazione dei testi, in modo da poter intervenire prima dell’approvazione parlamentare. Di testi corretti a penna, scarabocchiati, cancellati più e più volte, ne circolano una quantità in queste ore: salgono e scendono su per le scale e a un certo punto, non si sa come, vengono messi ai voti, in commissione per poi passare all’aula. Ieri appunto in aula questa macchina infernale che andava avanti e indietro senza che più nessuno stesse al volante è stata fermata prima di fare altri danni.
Dei 44 punti sollevati dalla Ragioneria, 22 si riferiscono ad emendamenti che potrebbero rivelarsi più costosi del previsto. Altri 21 sono semplicemente scritti male, da riformulare o precisare meglio. Prendiamo ad esempio la proroga dello “Smart working” per i lavoratori “fragili”: è risultata senza copertura, perché si tratta di ricoprire costi aggiuntivi di personale che, pur avendone diritto, non può svolgere mansioni a distanza. Come gli uscieri, che se non vengono a lavorare dovranno essere sostituiti e peseranno sul bilancio delle singole unità.
Quattrocentocinquanta milioni – una cifra non trascurabile in una legge che, esclusa la parte riservata al caro bollette, conta su tredici-quattordici miliardi per tutte le altre necessità – sono stati assegnati ai Comuni, ma senza verificare di averli in cassa. La Ragioneria obietta. La maggioranza accusa il Pd di aver presentato l’emendamento al solo scopo di ostruzionismo. Il Pd sostiene che l’emendamento attribuito all’opposizione per “un errore di numerazione”, in realtà porterebbe la firma di Fratelli d’Italia, il partito della premier Meloni. Se fosse confermato, si tratterebbe di un inspiegabile caso di hara-kiri.
I fondi per la “carta giovani”, cancellati proprio mentre venivano stanziati quelli per sanare i bilanci delle squadre di serie A, alla fine sono stati ritrovati nelle pieghe del bilancio di quest’anno. Possibile? Impossibile, si oppone la Ragioneria, si parla di soldi già spesi. Anche sulla soglia di contanti del Pos, aumentata, ridotta, alla fine cancellata (prima, clamorosa marcia indietro del governo) ci sono dubbi: la commissione che dovrà ridefinire le regole potrebbe produrre nuovi costi. Inoltre il condono penale dell’evasione fiscale, ritirato perché ritenuto impresentabile,(seconda rumorosa retromarcia) continua a circolare in originale e in fotocopia. D’altra parte una legge che constava all’inizio di 138 articoli è arrivata, al fixing di ieri sera, a 338, quasi triplicata. Il testo completo non esiste, i fogli volano da un faldone all’altro, è inevitabile che si perda qualcosa, e l’errore salta fuori sempre un minuto dopo che il problema era stato considerato risolto.
A sovrintendere a tutto questo lavoro c’è il ministro leghista dell’Economia Giorgetti, che fa quel che può ma non sa più dove mettere toppe. Il sottosegretario leghista Freni, impegnato sul fronte del Parlamento: pure lui fa quel che può, ma sembra ormai aver perso il controllo della situazione. Il ministro dei Rapporti con il Parlamento Ciriani, di Fratelli d’Italia, alla sua prima esperienza in quest’incarico è al battesimo del fuoco. Neanche a dirlo, fa quel che può: ma non basta. La premier Meloni ha dovuto ammettere che il “rodaggio” è stato faticoso e la prossima volta si dovrà “migliorare”. Il governo appena nato, sulla legge di stabilità, in sostanza si gioca la faccia. Anzi, se l’è già giocata.