Federico Fubini Corriere della Sera 23 dicembre 2022
Vitalità, rischi e occasioni da non sprecare
L’agenda 2023 è ricca: rafforzare il motore dell’economia italiana, integrarlo ancora di più nell’economia europea, metterlo in condizioni di esprimersi al meglio adesso che ha dimostrato di essere vitale.
Non c’è stato un altro anno, negli ultimi quaranta, in cui l’Italia sia cresciuta allo stesso tempo più di Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania e Francia. Il 2022 in questo senso ha portato anche sorprese positive. Potrà apparire una magra consolazione adesso che l’economia è probabilmente sull’orlo o già dentro una nuova recessione, indotta dalla guerra e dallo choc sull’energia. Ma anche nelle difficoltà di questa congiuntura, i segni di vitalità del Paese non mancano. Per la prima volta da molti mesi in novembre la fiducia dei consumatori italiani (ed europei) dà segni di recupero. Sempre in novembre l’indice di fiducia del settore manifatturiero — quello che di solito determina la direzione dell’intera economia — registra in Italia una ripresa anche più vivace di quella media dell’area euro. Diventa dunque plausibile che la recessione, da tempo annunciata, si riveli più breve e meno profonda di quanto si temesse qualche mese fa.
L’inflazione trainata dall’energia rimane un’emergenza, ma dall’estate i prezzi del gas sono costantemente scesi (ora anche grazie dal «tetto» sui futures voluto dall’Italia, con la Francia e la Spagna).
Poiché gli stoccaggi di metano sono stati riempiti e l’industria produce quasi come prima, ma con un quinto dei consumi in meno, nel 2023 il Paese dovrebbe riuscire a evitare razionamenti. Poi c’è il risparmio, depositato in banca e non investito delle famiglie e delle imprese. È cresciuto a quasi 1.600 miliardi di euro: un record che rivela dubbi e timori fra gli italiani, incerti se impiegare quella massa di denaro o tenerla pronta per un futuro incerto. Eppure anche questa enorme riserva mostra il potenziale dell’Italia in termini di investimenti e consumi, se la fiducia si rafforzasse.
Ma, appunto, questa è la prova. Siamo entrati nella fase in cui le politiche pubbliche diventano fondamentali per creare le condizioni, anche psicologiche, perché il potenziale del Paese si esprima. Forse era troppo chiedere che la legge di Bilancio assicurasse da sola quelle condizioni. Il tempo per scriverla e approvarla è stato poco e le emergenze pressanti da affrontare moltissime, specie perché i sussidi alle bollette bloccano da soli gran parte delle risorse. Per avere un’idea del modello di crescita nel quale crede il governo bisognerà dunque aspettare che le scadenze di questi giorni siano alle spalle.
Resta però l’impressione che, anche in questa manovra, di occasioni se ne siano perdute. Molto del capitale politico della maggioranza è andato in misure di bandiera, simboli e messaggi in codice a gruppi scelti di elettori. Per settimane il dibattito politico si è concentrato sul tetto ai pagamenti in contante, sulle soglie minime a cui si può rifiutare un pagamento per carta, ultimamente persino sull’ipotesi di uno scudo penale sui reati fiscali o sul «perdono» per le pendenze tributarie fino ai mille euro. Alla fine alcune di queste misure diventeranno legge, altre no. Nessuna però contribuirà all’obiettivo che conta davvero: rafforzare il motore dell’economia italiana, integrarlo ancora di più nell’economia europea, metterlo in condizioni di esprimersi al meglio adesso che ha dimostrato di essere vitale.
Da adesso le energie andranno spese non tanto per affermare l’identità dei partiti, ma per incidere sulla realtà. A maggior ragione perché essa è meno negativa di come si potesse temere il 24 febbraio allo scoppio della guerra, o il 25 settembre a urne aperte. Questo bisogno di concretezza naturalmente passa in primo luogo dall’esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Raffaele Fitto, il ministro degli Affari europei, si prepara a proporre per decreto un nuovo ciclo di semplificazioni che rendano più rapidi i passaggi degli investimenti: valutazioni d’impatto ambientali, autorizzazioni delle sovrintendenze o dei Vigili del Fuoco. Di certo è più utile intervenire così che perdere tempo a cercare di scaricare le colpe di eventuali ritardi sul governo che è venuto prima.
Il 2023 presenta però almeno un’altra grande sfida per l’economia italiana. Lunedì scorso i ministri dell’Economia di Francia e Germania, Bruno Le Maire e Robert Habeck, hanno chiesto a Bruxelles di allentare i vincoli sugli aiuti di Stato all’industria e velocizzare le relative autorizzazioni. È una prima risposta alla pressione concorrenziale prodotta dai sussidi della Casa Bianca per centinaia di migliaia di dollari alle imprese americane. Ma permettere più aiuti di Stato in Europa favorisce soprattutto i Paesi che possono versarne di più, Germania in primis, a danno degli altri. L’Italia potrebbe lavorare con gli altri Paesi, Francia inclusa, per far sì che in parallelo si creino anche risorse comuni europee destinate alle grandi filiere del futuro: tecnologie verdi, semiconduttori, auto di nuova generazione.
È l’agenda dell’anno che sta per iniziare. E ha bisogno di pragmatismo, più che di bandiere da sventolare.