Andrea Carugati il Manifesto 23 dicembre 2022
Nel Natale in casa Pd i parenti litigano sul conflitto di classe
Cronaca semiseria di una riunione di famiglia al Nazareno, ospiti i tre candidati leader. Bonaccini gioca in casa: «Siamo riformisti, surreale tornare alla lotta tra capitale e lavoro». Picierno sarà la sua vice: no alle abiure. Schlein rassicura: non sono qui per sostituire qualcuno
Il Natale in casa Pd si celebra nella grande sala del Nazareno, dove i parenti-serpenti tentano di mettere in scena una mattinata conviviale. L’invito è arrivato dal “gruppo del Lingotto”, una pattuglia di fan del Pd delle origini, quello di Veltroni e della vocazione maggioritaria (tra loro Roberto Morassut, Walter Verini e Stefano Ceccanti).
All’invito di questa pattuglia di parenti assortiti che tenta di tenere insieme i cocci della famiglia hanno risposto il cugino di provincia ruvido e arrembante Bonaccini, la zia Paola De Micheli ed Elly Schlein nella parte della cognata che arriva dall’estero (è nata in Svizzera) e rischia di scombinare tutti i piani. Collegato da casa per una improvvisa influenza il patriarca Enrico Letta che, pur ancora giovane, è nei panni del vecchio saggio di cui tutti vorrebbero liberarsi al più presto.
I PARENTI CERCANO in ogni modo di lustrare i gioielli di famiglia, l’Ulivo, il Lingotto del 2007, guai a buttare il bambino con l’acqua sporca, «una riedizione della sinistra Ds sarebbe un errore storico», tuona Marianna Madia nei panni della cugina sempre giovane e upper class. «Mica possiamo cancellare il jobs act in nome di tutele astratte che non sono più nella realtà o rievocare il conflitto di classe. Noi dobbiamo parlare al ceto medio!». Non sia mai.
Nel mirino ci sono i parenti comunisti, come Andrea Orlando, che nelle riunioni del comitato per il nuovo manifesto hanno osato criticare la «deriva liberista». Orrore. «Sono stati 15 anni straordinari», si scalda Pina Picierno. «No alle abiure, nessuna delle ragioni fondative del partito è venuta meno».
Da Trento si collega Giorgio Tonini, uno degli ideologi di Veltroni. «Le radici non si toccano». Verini lo prende in giro: «Sembri Mauro Corona». Debora Serracchiani, che era nata ribelle ai tempi del Franceschini segretario, si è fatta più concreta: «Mica possiamo pensare di cambiare la classe dirigente, dobbiamo fare i conti con quello che siamo…». È pronta per un nuovo giro di giostra.
BONACCINI SI COLLEGA dalla periferia di Bologna, vicino alla sede delle moto Ducati. «Sento riproporre contrapposizioni tra capitale e lavoro come se fossimo agli inizi del 900, è surreale: poi con chi le facciamo le politiche industriali?». S’ode il rombo delle moto, l’Emilia che produce, e il governatore suona i suoi cavalli di battaglia, il «valore sociale dell’impresa», il «riformismo», la «cultura di governo».
«Avverto pulsioni a cambiamenti regressivi per un ritorno alle casematte precedenti. Le contrasterò, sarebbe la fine del Pd, ci porterebbe su binari minoritari. È già successo altrove in Europa, il rischio c’è anche qui». Arriva il piatto forte: «Dobbiamo tornare a fare il Pd con la vocazione maggioritaria». Sospiri di sollievo.
Il rischio invece è una separazione tra riformisti e radicali, reso ancor più plastico dal recente annuncio di Pierluigi Castagnetti («Se il Pd cambia natura i cattolici se ne vanno») e dalla esplosiva intervista di ieri a Repubblica di Arturo Parisi, che ha accusato Letta e Franceschini di voler rifare il Pci.
Se Bonaccini è in totale sintonia con il sinedrio dei promotori, la cognata Schlein cammina sulle uova: «Tutte le culture fondative devono interrogarsi sui cambiamenti che abbiamo vissuto in questi anni». E ancora: «Questa comunità va tenuta insieme, ma serve una visione chiara, la coerenza di un profilo netto»!. Brividi nella sala. «C’è un modello di sviluppo che non funziona più, che crea disuguaglianze e distrugge il pianeta, anche il Papa nella sua enciclica “Laudato si’” parla del grido dei poveri e della terra».
La citazione di Francesco è come un passepartout per rassicurare la platea, pare suggerito dal neo coordinatore della mozione Francesco Boccia, cattolico. «Fuori il mondo è cambiato, dobbiamo cambiare anche noi», insiste Schlein. «Io sono nativa democratica, non sono qui per sostituire qualcuno, ma per rinnovare insieme il Pd, non sono un outsider». «È brava ehhhh», gongola Boccia col suo vicino di sedia. De Micheli insiste sugli iscritti: «Devono contare di più, finora non è stato così».
LETTA ARRIVA PER ULTIMO, la voce claudicante per la febbre, rilancia «l’orgoglio e la centralità del Pd nonostante le difficoltà», ribadisce che «chi verrà dopo di me saprà fare meglio», prova a rassicurare gli altri decani che la vecchia casa di famiglia non è in vendita: «È stata fatta una caricatura della discussione nel comitato costituente, ma in questi 15 anni sono successe cose enormi, il clima, le diseguaglianze, il ruolo della tecnologia. Non c’è nulla di male nell’aggiornare il nostro manifesto dei valori e la costituente andrà avanti anche dopo le primarie, cambieremo anche lo statuto».
Alla fine i promotori si fregano le mani: «Abbiamo sventato i rischi, non ci sarà nessun cambio del manifesto prima delle primarie di febbraio, i lavori del comitato saranno solo un contributo». «Abbiamo difeso i principi originari del Pd», assicura Verini. Circola una battuta: «Il candidato leader ideale sarebbe Veltroni».
In realtà l’assemblea costituente, il 22 gennaio, dovrebbe votare il nuovo manifesto. Per l’occasione sarà allargata da 1000 a 1200 componenti in rappresentanza di chi si è unito solo negli ultimi mesi, come le sardine e Articolo 1. Al Nazareno ritengono che le primarie resteranno il 19 febbraio, anche se Matteo Ricci e De Micheli insistono per un anticipo a gennaio.
Nel Natale in casa Pd tutti pensano che, in un modo o nell’altro, saranno loro ad averla vinta. Intanto Picierno sembra in pole position per un ruolo di primo piano nella squadra di Bonaccini. Sarà la sua vice, o forse la portavoce. Comunque in prima linea.