A Caracciolo non convince, la guerra è senza fine e senza vincitori

Lucio Caracciolo La Stampa 24 dicembre 2022
Guerra senza fine e senza vincitori
Il primo Natale di guerra in Ucraina non promette di essere l’ultimo. Senza ammetterlo apertamente, sembra che tutti si siano rassegnati all’idea che la guerra continuerà fino a che uno dei due contendenti non getterà la spugna.

 

Vista la tempra delle parti in causa, l’attesa sarà lunga. E alla fine il “vincitore” potrebbe trovarsi in condizioni perfino peggiori del “perdente”. Perché uno scontro all’ultimo o al penultimo sangue nega l’essenza stessa della guerra: leva estrema per raggiungere una pace migliore di quella precedente all’inizio delle ostilità. Questo genere di guerra “infinibile” non prosegue la politica con altri mezzi, la esclude. Esempio di perfetta irrazionalità.

Quando il capo delle Forze armate americane, generale Mark Milley, stabilisce che “forse questa guerra non è vincibile per via militare”, esprime tale consapevolezza. Continuando così perderanno – perderemo – tutti. Gli americani meno di tutti. Gli europei più degli americani. Ucraini e russi molto ma molto più di americani ed europei.

Sotto il profilo strategico, la Russia ha perso nel momento stesso in cui ha aggredito l’Ucraina. Per quanto possa apparire incredibile, Putin contava di risolvere la partita in pochi giorni, con un colpo di Stato che vendicasse l’onta del 2014 e gli evitasse il disonore di passare alla storia patria come l’imperatore che perse Kiev. La sua doveva essere effettivamente una “operazione militare speciale”. Solo ieri a Putin è scappato per la prima volta che la Russia è in guerra. Dovesse anche conquistare tre quarti d’Ucraina – ipotesi improbabile e costosissima sotto ogni profilo – per lasciarne avanzi a Polonia e Ungheria, come potrebbe gestire un territorio ostile e devastato? Quale che sarà la frontiera fra Russia e Ucraina alla fine provvisoria delle ostilità, il declassamento della Federazione Russa sulla scena mondiale è già un fatto. Nessuno può più considerare l’Armata Russa una gloriosa macchina da guerra, visto il grado di inefficienza e corruzione esibito alla prova del fuoco. Restano le seimila bombe atomiche, certo. Ma il loro impiego potrebbe coincidere con la fine della Russia. E del mondo.

Nel medio periodo lo scenario si presenta per Mosca particolarmente triste. In tre punti.

Primo: La Nato si schiererà di fatto o anche di nome a poche centinaia di chilometri dalle mura del Cremlino. La sua ala orientale, dalla Scandinavia alla Romania via Polonia, fieramente antirussa, sarà armata fino ai denti da americani e britannici, ma anche da europei storicamente filorussi, italiani compresi. Le basi americane in Europa slitteranno ancor più a ridosso della Federazione Russa. Pochissimi minuti separeranno i missili atlantici da Mosca.

Secondo: la Cina ha scoperto che la Russia è inaffidabile e non rappresenta più una carta importante da giocare nella sfida con l’America. Semmai il contrario. In ogni caso, la penetrazione di Pechino nell’Asia centrale ex sovietica sarà più agevole.

Terzo: la perdita dell’interdipendenza non solo energetica con la Germania, difficilmente recuperabile, priva Mosca del riferimento principale in Europa. Per tacere di Francia e Italia.

Se Putin resta al potere è solo perché l’”operazione speciale” si è trasformata in guerra di sopravvivenza. Motivo di più, secondo il signore del Cremlino, per farla durare il più a lungo possibile. Ma forse qualcuno a Mosca stabilirà che per vivere la Federazione Russa necessita di un altro presidente.

Quanto all’Ucraina, anche se dovesse riconquistare tutti i territori persi dal 2014 – ipotesi molto improbabile secondo gli americani – sarà un territorio devastato. Difficile credere che gli occidentali manterranno la promessa di ricostruire il paese invaso e destrutturato dai russi, mentre è evidente che le risorse domestiche non sono sufficienti a tenerlo decentemente in piedi. Tutto ciò al netto degli scontri di potere fra oligarchi e capimafia vari, finora sedati dalla priorità di respingere l’aggressore, ma con il cui ritorno di fiamma dovremo fare i conti. Sotto la cenere se ne scorgono alcuni segni.

Chi può fermare la guerra? In teoria, gli Stati Uniti. In pratica, le probabilità che Washington s’impegni davvero a questo scopo sono scarse. Vista dall’America, questa è una guerra per procura che serve a indebolire, forse ad annientare, il nemico russo, a spezzare le intimità euro(tedesco)-russe, a privare la Cina del suo unico strumentale partner nella partita del secolo per il primato planetario.

Quando nel 1991 scoppiarono le guerre jugoslave, il ministro degli Esteri lussemburghese, Jacques Poos, annunciò: “Questa è l’ora dell’Europa!”. Poos è morto cinque giorni prima che i carri di Putin si lanciassero verso Kiev, per impantanarsi. Supponiamo che non avrebbe rinnovato il proclama. E temiamo che una guerra jugoslava al cubo sia lo scenario meno improbabile per il conflitto in corso. Forse il migliore. Almeno finché le principali forze in campo ritroveranno il coraggio di osare non di risolvere la diatriba fra impero russo e nazione ucraina – impossibile – ma di provare a sedarla con le armi della diplomazia prima segreta poi aperta. Ci sono conflitti che si possono risolvere e conflitti che si debbono gestire perché irresolubili. Provare a risolvere conflitti solo gestibili significa prolungarli all’infinito. Rinunciare a gestirli è irresponsabile.

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