Il cenone in tanti o in intimità ? In 14 succede cosi…

Mariangela Mianiti il Manifesto 27 dicembre 2022
Le fatiche del pranzo di Natale, e connessi
HABEMUS CORPUS. Piaceri e disastri dei riti famigliari nelle feste. A tavola in 14 ma le posate sono spaiate e il brodo pronto a esplodere


Se avessi immaginato che, per mettere a tavola 14 persone il giorno di Natale, avrei dovuto lavorare tre giorni prima e due dopo, non avrei fatto la proposta con tanta baldanza.
Come molte figlie di madre emiliana, sono da sempre abituata a farmi accogliere trovando pronti gnocchi la sera della vigilia, anolini in brodo, lesso e salse fatte in casa per il pranzo natalizio. Quest’anno, per una serie di ragioni logistiche, la famiglia allargata, nel senso che comprende genitori, figli, fratelli, compagne, rispettivi figli, nipoti in arrivo e consuoceri, per la somma appunto di 14 teste, è venuta da me e lì si è presentato il primo problema.

Quando hai tavoli, piatti, posate e bicchieri tarati per un massimo di otto persone, benedici di avere una cantina, di non aver buttato il tavolaccio assemblato con il fai-da-te vent’anni prima, di avere una riserva di piatti, bicchieri e posate spaiate che hai tenuto perché nessuno le voleva, di avere infognato in qualche cassetto tovaglie oversize, di non aver eliminato i venti tovaglioli, pure quelli spaiati, che tua madre ti ha regalato negli anni, di avere a portata di mano robusti giovanotti che ti aiutano a tirare su dalla cantina l’utile tavolaccio, spostare il divano di qui, no forse di là, ma no rimettiamolo come prima, di scoprire che, fra sedie in in cucina, in soggiorno, in camera e quelle ergonomiche, arrivi miracolosamente a 14.

Subito dopo si presenta la questione menù. Visto che il pranzo abbraccia un rettilinio che parte da Procida e arriva a Locarno, e sapendo che dall’isola di Arturo mai arriverebbero a mani vuote, anzi li devi proprio frenare, decidi di seguire la tradizione di casa e quindi farai gli anolini. E qui c’è il secondo problema. Essendo una sorella degenere, nel senso che sono l’unica di quattro fratelli a non aver mai imparato a tirare la sfoglia e a fare il ripieno, chiedo a uno di loro di prepararli.

Io devo pensare solo al brodo, ed ecco presentarsi il terzo problema. La pentola. Anzi il pentolone che deve essere extralarge per contenere un cappone, quasi due chili di manzo, quattro costine e verdure connesse. Non è cosa da vegetariani. Per non farmi acquistare una roba che non avrei più usato per i prossimi forse vent’anni, il fratello facitore degli anolini mi presta e porta le sue. Ho svolto bene il mio compito, il brodo è venuto buonissimo.

E puntuale si è presentato il quinto problema. Abbiamo esagerato. Ne sono avanzati almeno dieci litri. Quindi che fa la degenere e incauta sorella per conservare tutto quel bendiddio? Lo congela. E dove? Ma in bottiglie di vetro. E che fa? Come un’oca padana le riempie fino all’orlo. E che producono le bottiglie la mattina dopo? Pim, pum, pam, si spaccano in centinaia di pezzi, e il brodo si spande per tutto il freezer, e quindi la pulizia di questa puciciacca untuosa si aggiunge a tutto il resto che chiunque abbia organizzato pranzi così copiosi conosce meglio di me.
Ora, le nostre madri e nonne hanno fatto e fanno questo tutti gli anni, spesso per figli che tornano da lidi lontani, magari da sole e senza mai lamentarsi. Per dire, da Procida sono arrivati con due torte di scarola, una con e una senza salciccia, come la chiamano lì, una lasagna di verdure, gli struffoli e una cassata, e mi dicono che ai loro Natali sono a volte in quaranta. Al loro cospetto mi sento una pulce della cucina, e comunque è pure avanzato un sacco di lesso, e indovinate chi mi ha consigliato di farne polpette e mi ha dato pure dosi e ricetta? Ovviamente uno dei tre fratelli dicendo: «Poi li puoi surgelare». Lo farò. Ameno quelle non scoppiano.
mariangela.mianiti@gmail.com

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