Sul decreto Rawe, destra in trincea alla camera

Andrea Fabozzi il Manifesto 29 dicembre 2022
Seduta fiume e ghigliottina: la destra in trincea solo per i rave
La destra va a caccia di passerotti con il cannone. Per approvare la conversione in legge del decreto contro i rave party, alla camera la maggioranza schiera l’artiglieria pesante delle tecniche parlamentari.

Taglio della discussione generale, voto di fiducia, seduta fiume, manca solo la ghigliottina, l’arma estrema che ha un solo precedente, ma arriverà anche quella. Stasera.

Il decreto del quale si vuole evitare la decadenza, scade domani, è tutt’altro che fondamentale. Contiene nella sostanza quattro norme (dunque è evidentemente non omogeneo). Due norme hanno già esaurito il loro effetto: lo slittamento dell’entrata in vigore della riforma penale Cartabia (fino al 30 dicembre, domani) e il richiamo in servizio dei medici no vax, che in ogni caso dal 1 gennaio 2023 sarebbero rientrati. Una terza norma è la riforma dell’ergastolo ostativo per la quale è stato adottato il testo che nella scorsa legislatura Fratelli d’Italia, unico partito, non votò. Peggiorandolo un altro po’. Resta la norma che ha dato il nome sui giornali al decreto: il reato penale di rave party. Un articolo che però non è più quello fatto passare da Piantedosi in Consiglio dei ministri, perché il senato ha dovuto necessariamente correggere almeno gli svarioni più clamorosi.

Su tutto questo, su così poco, la destra si impunta e deve forzare i regolamenti parlamentari, potendo contare sulla collaborazione del presidente della camera Fontana. Spara ai passerotti con il cannone ma una ragione c’è: è questa la prima volta che va a caccia e non può permettersi di sbagliare. Si tratta infatti del primo decreto legge del governo Meloni, subito arrivato a un passo dalla decadenza, anche per via dell’incrocio con la legge di bilancio. Ma nella foga la maggioranza rischia a un certo punto di spararsi da sola sui piedi.

La fiducia che serve a far decadere di colpo tutti gli emendamenti passa senza problemi nel pomeriggio. Lo scossone arriva da fuori l’aula della camera, da uno studio televisivo. Chiamato a commentare l’esito della conferenza dei capigruppo del mattino, che ha stabilito che il voto sugli ordini del giorno che precede il voto finale sarà oggi alle sette di sera, il ministro per i rapporti con il parlamento, il meloniano Ciriani, annuncia che «per forza di cose dovremmo ricorrere alla ghigliottina». Si tratta di una soluzione che la camera ha adottato una sola volta, nel gennaio 2014, mutuata e adattata dall’allora presidente Boldrini dal regolamento del senato per imporre la votazione su un decreto legge in scadenza, troncando la discussione di colpo.

La sgrammaticatura di Ciriani è evidente, e il Pd con la capogruppo Serracchiani e il deputato Fornaro la fa notare intervenendo in aula. La scelta di far scattare la ghigliottina non compete al governo ma casomai al presidente Fontana che, in imbarazzo, risponde che sentirà al telefono il ministro e si chiarirà. Poi allude alla necessità di non far arrivare il decreto – che il parlamento ha cambiato – solo pochi minuti prima della scadenza al Quirinale per la promulgazione. Cosa che però è ormai inevitabile, tanto che non si può escludere che il presidente Mattarella sia costretto a segnalare il disagio, accompagnando la firma con un messaggio.

Dopo la fiducia (che per il regolamento della camera continua a non coincidere con il voto sul provvedimento), il deputato Lupi chiede a nome della maggioranza di far partire la seduta fiume. Utile alla destra per tagliare i tempi dei voti sugli ordini del giorno: in questi casi è prevista una sola dichiarazione di voto per tutti gli ordini del giorno – il cui valore è come al solito molto scarso – che stavolta sono 157. Comincia dunque la lunga notte del decreto anti rave, con 91 deputati dell’opposizione iscritti a parlare (per cinque minuti) e la presidenza che per sadismo o per dispetto annuncia che concederà una sola pausa, stamattina alle sette.

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