Francesco Olivo La Stampa 30 dicembre 2022
Il piano di FdI: minibicamerale per il presidenzialismo cercando la sponda di Renzi
Pera alla guida di 15-20 parlamentari per cambiare la Costituzione. La premier vuole controbilanciare l’offensiva leghista sul federalismo
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni con Matteo Renzi, leader di Italia Viva in Parlamento
Una bicamerale esile, ma non inconsistente: 15 o 20 parlamentari al massimo con a capo Marcello Pera. Tempo dei lavori: due anni circa. Il tutto contando su una sponda di Italia Viva e Azione. Il piano è inserito in un documento dal contenuto ancora volutamente vago, intanto per la difficoltà del compito e poi per la necessità di una condivisione, con i partiti di maggioranza e, entro la fine di gennaio, con quelli dell’opposizione. La ministra competente, Maria Elisabetta Alberti Casellati ha cominciato un giro preliminare di consultazioni, partendo da Fratelli d’Italia e Forza Italia, sospeso per le urgenze parlamentari. A gennaio si ricomincia, intanto dalla Lega, l’alleato più complicato in questo ambito e poi si passerà alle opposizioni.
Giorgia Meloni crede che «sia la volta buona» per la riforma presidenziale (o «semi», questo si vedrà), ma da parlamentare ormai esperta ha visto come i tentativi dei suoi predecessori sono falliti più o meno miseramente e sa anche che l’opposizione, con l’eccezione del Terzo Polo, non collaborerà a cambiare la forma dello Stato secondo i disegni della destra. Così, la scelta è quella di accelerare o almeno di dare questa impressione.
In una conferenza stampa senza grandi annunci, su una cosa la premier ha voluto mettere le cose in chiaro: «Il presidenzialismo è una mia priorità». La presidente del Consiglio si è data una scadenza, «punto a farlo entro questa legislatura» e ha indicato un metodo, «vorrei fare una riforma il più possibile condivisa. Non ho pregiudizi e preclusioni. La Bicamerale è utile se c’è la volontà di fare la riforma, non se ha scopi dilatori», e un modello, «il semipresidenzialismo non è il mio preferito ma può esserci convergenza». Il percorso quindi può cominciare con un impegno forte. «Non posso che essere lieto di questo desiderio del presidente del Consiglio e del fatto che si sia deciso di avere un ministro delle Riforme, che nel precedente governo non c’era», dice Nazario Pagano, Forza Italia, presidente della Commissione affari costituzionali della Camera. Pagano poi aggiunge: «Le riforme si fanno in Parlamento e la commissione che presiedo costituisce uno snodo fondamentale».
Sembra, quest’ultima un’ovvietà, ma tra deputati e senatori, anche del centrodestra, è diffuso il timore che anche in questo caso le Camere possano venire scavalcate da un’azione molto decisa del governo. L’idea della bicamerale “agile” immaginata in via della Scrofa non è quella di Casellati, che invece vuole preparare un testo del governo da presentare entro la prossima primavera. Meloni ieri ha tenuto aperte tutte e due le strade: «Ci può essere, e non lo escludo, un’iniziativa del governo. Se ci fosse invece la disponibilità di lavorare a livello parlamentare non avrei preclusioni». Emanuele Prisco, già capogruppo di FdI in Commissione Affari costituzionali e oggi sottosegretario all’Interno aggiunge un elemento: «Anche se la riforma dovesse ottenere il voto dei due terzi dei parlamentari sarebbe giusto indire un referendum: una tappa epocale non può non essere confermata dalle urne».
La commissione bicamerale è un’ipotesi che trova molte resistenze a partire sia in Forza Italia («ci vorrebbe un anno solo per formarla», dice un dirigente azzurro), sia nella Lega. Uno dei predecessori di Casellati, Roberto Calderoli lo ha detto molto chiaramente nei giorni scorsi: «Nella mia storia parlamentare fatta di nove legislature non ho mai visto una Bicamerale conclusa con successo, tutte si sono chiuse senza ottenere alcunché». Parole nette concluse da una delle sue massime: «Se tu non vuoi fare una cosa, fai una commissione ad hoc; se non vuoi farla del tutto, fai una Bicamerale e perderai ancora più tempo». Calderoli, anche indirettamente, è protagonista anche di questa vicenda. Gli esponenti di Fratelli d’Italia hanno più volte ripetuto che la proposta di Autonomia differenziata alla quale sta lavorando l’esponente leghista, che ieri ha vissuto un’accelerazione, deve andare di pari passo, almeno nel suo incardinamento, alla riforma presidenziale e alla legge sui poteri di Roma capitale. Le resistenze di FdI su questa svolta federale dello Stato sono molte e in qualche modo ataviche, e in molti interpretano l’accelerazione di ieri di Meloni come una volontà di controbilanciare l’offensiva del Carroccio.
Altra incognita sarà il ruolo delle opposizioni, Pd e M5S non lasciano molti spiragli di dialogo: «La premier in sostanza dice, “noi vogliamo il semipresidenzialismo se ci state bene, altrimenti facciamo da soli”, un atteggiamento inaccettabile, qui stiamo parlando delle regole della democrazia», dice Andrea Giorgis, costituzionalista e deputato dem. Il Terzo Polo, invece, si mostra interessato: «Se il governo apre una discussione, non è possibile sfilarsi», dice Matteo Richetti di Azione. Italia Viva condivide, non ritenendo la Bicamerale l’unico strumento. È questa la sponda sulla quale punta Meloni che non dimentica un consiglio ricevuto due mesi fa: «Non fare da sola, lo dice uno che se ne intende». Il consigliere è Matteo Renzi.