No Vax e moschetto, gli errori della premier

Francesco Bei La Repubblica 30 dicembre 2022
No Vax e moschetto, gli errori della premier

Due gli errori storici della premier Meloni nella sua conferenza stampa di fine anno

 

Con un avvio di legislatura modesto e una legge di Bilancio senza ali per volare, impiombata da condoni e da proroghe di aiuti decisi già da Draghi, Giorgia Meloni si è trovata a finire l’anno sul piano della nostalgia missina e della banalizzazione del Covid. Sono due temi importanti e diversi che meritano entrambi un approfondimento, giacché entrambi nascono da uno medesimo atteggiamento politico e, se vogliamo, anche culturale.

Anzitutto il tema dell’identità del Movimento sociale italiano, dove l’aggettivo mediano rimanda direttamente al ceppo della Repubblica sociale italiana, la ridotta estrema di un’Italietta asservita agli aguzzini nazisti. La presidente Meloni ha fatto ieri due affermazioni in conferenza stampa che contengono due errori storici. Il Msi, sostiene la premier, è stato un partito della destra democratica e repubblicana. Un partito, ha aggiunto, che non era impresentabile allora e, dunque, non lo è nemmeno oggi. Tanto più che è stato scelto dalla maggioranza degli italiani. Il primo errore è proprio nel definire democratica la destra missina. Repubblicana sì, in quanto considerava i Savoia dei traditori. Democratica proprio no. Partecipava a delle elezioni democratiche, si presentava al voto. Ma cosa pensasse della democrazia parlamentare lo chiarì proprio Pino Rauti, in una celebre intervista televisiva del 1971, quando era ormai rientrato nel Msi già da due anni grazie all’ombrello e alla protezione politica offerta dall’allora segretario Giorgio Amirante. “Noi siamo contrari in linea di principio, per questioni ideologiche, perché non crediamo all’eguaglianza degli uomini. Non crediamo al suffragio universale”. Il suo Ordine Nuovo, poi sciolto per ricostituzione del partito fascista, bordeggiò tra strategia della tensione, servizi segreti deviati, tentazioni golpiste, stragi.

Ed ecco il secondo errore: non è vero, come dice Meloni, che la funzione del Msi negli anni Sessanta-Settanta fu quella di tenere una generazione lontana dal terrorismo e dalla violenza politica. Al contrario, il Msi con Almirante – come ha ricordato sulla Stampa lo storico Giovanni De Luna – coltivava un doppio binario, apparentemente legalitario e repubblicano, ma intimamente sovversivo e reazionario. Che contemplava anche la violenza politica di piazza. Tanto che Almirante nel 1971 indicò nel Msi “l’alternativa rivoluzionaria al sistema parlamentare distrutto”. Erano queste le idee velenose che filtravano dal vertice fino ai giovani come Ignazio la Russa, che ancora oggi ne rivendicano l’eredità celebrando i propri padri. Se vogliamo concedere qualcosa, è un’ambiguità simile a quella togliattiana, che faceva credere ai militanti che la Rivoluzione armata era ancora possibile, che il sistema borghese sarebbe stato abbattuto dal proletariato. Oggi no, neppure domani. Ma un giorno sicuramente sì. Solo che i comunisti in Italia non mettevano le bombe sui treni e nelle piazze. I fascisti sì.

E, infine, Giorgia Meloni riscrivendo a suo piacere la storia del Msi, con un abbellimento che fa torto anche al fascismo sempre rivendicato dei padri (il celebre motto “non restaurare, non rinnegare”), distorce anche la sua di storia, sua personale intendiamo. Senza un giudizio storico-politico necessariamente negativo sul Msi non si capisce infatti nemmeno la svolta di Fiuggi e la scissione del gruppo più nostalgico dei rautiani. Perché fare un’abiura del Msi, perché disfarsi di quel fardello così pesante, se, come dice oggi Meloni, il movimento era stato sempre profumato come le rose? Era scolpito nelle tesi del congresso di Fiuggi questo giudizio impegnativo: “È giusto chiedere alla destra italiana di affermare senza reticenza che l’antifascismo fu un momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato”. Tesi che la stessa giovanissima Meloni all’epoca aveva condiviso. Possibile che la premier Meloni, che meritoriamente afferma di voler celebrare il 25 aprile, oggi se ne sia dimenticata?

E veniamo all’altra questione, quella del Covid. Tra tanti ripensamenti, dalla postura nei confronti delle istituzioni europee, all’atteggiamento nei confronti di Putin, continua a mancare nella destra italiana un riconoscimento dell’errore marchiano fatto durante la pandemia. Non ha alcun senso dire che i lockdown non sono serviti e citare l’esempio cinese. Perché l’obbligo di chiuderci in casa, duramente contestato all’epoca da Lega e FdI, era imposto dall’assenza di vaccini. Eravamo senza armi, a parte le mascherine e il distanziamento. Ma se oggi siamo in un altro mondo è proprio grazie alle vaccinazioni. E non si capisce la continua reticenza sul punto della premier. Dovrebbe andare in televisione tutti i giorni in prima serata a dire agli italiani – tutti, non solo i fragili – di vaccinarsi se non lo hanno ancora fatto. Invece, di fronte a una possibile nuova ondata di Covid in arrivo dalla Cina, ha balbettato sottovoce un “rivolgetevi al vostro medico”. Come se il pilota di un aereo che sta precipitando dicesse ai passeggeri: “Chiamate il numero verde se volete il rimborso del biglietto”.

 

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