Meloni e il gioco delle alleanze europee

Francesco Verderami Corriere della Sera 31 dicembre 2022
L’«operazione» Europa a cui lavora la premier: un patto con il Ppe per isolare i socialisti
Il Qatargate e le manovre dei Conservatori Ue


Alla conferenza stampa di fine anno, per un istante Giorgia Meloni ha smesso i panni della premier per indossare quelli di presidente dei Conservatori europei: quando ha messo nel mirino il Pse.C’è un motivo se la leader di Fratelli d’Italia ha definito il Qatargate «un socialist job», e c’entra fino a un certo punto la difesa dell’onore nazionale. I primi ad intuirlo sono stati i dirigenti del Pd, che da quando è scoppiato lo scandalo delle mazzette a Bruxelles sono preoccupati per le ripercussioni politiche che l’affaire può provocare. La storia delle valigie piene di contanti che ha mandato in carcere pezzi di establishment della sinistra, secondo autorevoli dirigenti dem «rischia di aggravare la crisi del Pse e di agevolare l’operazione a cui lavorano in Europa i nostri avversari in vista delle elezioni nel 2024». Meloni fa parte dell’«operazione». Da presidente dell’Ecr il suo obiettivo — dopo le urne — è sostituirsi ai Socialisti nell’accordo con i Popolari e dar vita a una maggioranza di centrodestra per la guida dell’Unione.

Il dialogo con il Ppe va avanti da tempo: costruito dal ministro Fitto negli anni in cui sedeva a Strasburgo, divenne manifesto quando i Conservatori sostennero l’elezione di Metsola al vertice dell’Europarlamento e conquistarono per il loro gruppo una vice presidenza. Allora i rapporti con i Popolari uscirono dall’anonimato e l’Ecr uscì dall’isolamento, nel quale sarebbe definitivamente precipitato se avesse aderito al rassemblement delle destre con alleati scomodi come Afd e Front national. Come proponeva Salvini. La leader di FdI scelse un’altra strada. Sulla base di quella svolta, nelle riunioni che hanno preceduto il voto del 25 settembre, ha discusso con il suo gruppo dirigente delle prospettive future: «Un nuovo equilibrio politico in Italia — questo uno dei passaggi — può essere il punto di partenza di un nuovo equilibrio politico in Europa».

Un disegno ambizioso e che solo un anno fa appariva al limite del velleitario, ha registrato un primo passo con la conquista di palazzo Chigi. Lì dove il 22 novembre la premier ha ricevuto il presidente del Ppe, Weber, che in campagna elettorale si era speso con un pubblico endorsement a favore del centrodestra italiano. La tesi di Palazzo è che FdI si stesse posizionando in vista di un’adesione al Ppe. In realtà l’obiettivo era (e resta) costruire una solida alleanza con il Ppe. Raccontano che durante il colloquio i due si siano «presi bene»: Weber — spiega una fonte accreditata — auspica che l’Ecr abbia un approccio «arrotondato» e «collaborativo» nelle istituzioni comunitarie, evitando certe spinte estreme nelle quali per esempio si distinguono gli spagnoli di Vox.
Anche perché il quadro d’insieme preannuncia un possibile cambio di maggioranza nel Vecchio Continente: in Francia il dopo Macron è un’incognita; in Germania l’Spd fatica a guidare una coalizione eterogenea; mentre in altri Paesi — come la Svezia e la Repubblica Ceca — si moltiplicano le intese tra Popolari e Conservatori. In attesa di vedere cosa accadrà anche a Madrid dopo le elezioni dell’anno prossimo. Perciò la battuta sul «socialist job» non l’ha pronunciata la premier ma la leader dell’Ecr. Perciò nel Pd si chiedono se «l’azione giudiziaria sul Qatargate sarà circoscritta o si aprirà per il Pse un ‘92 europeo».

All’obiettivo di rompere il «compromesso storico» che domina da anni nelle stanze del potere di Bruxelles e Strasburgo non lavora solo Meloni. Anche il ministro degli Esteri sta fornendo il suo contributo. D’altronde Tajani nel 2017 fu eletto presidente dell’Europarlamento con i voti dei popolari, dei liberali e dei conservatori che gli permisero di battere il candidato socialista Pittella. E oggi nei suoi conversari riservati il titolare della Farnesina conferma il sostegno al progetto, che definisce «l’inizio di un percorso».

Perché è chiaro che ci sono ancora numerosi ostacoli sul cammino dell’intesa: lo si capisce dalle resistenze che emergono tra i tedeschi, tra i lussemburghesi e soprattutto tra i polacchi delle due forze, in perenne frizione. Con i liberali poi, «l’interlocuzione è complicata per i loro legami con Macron», riconosce uno dei maggiori esponenti di FdI. Ma non c’è dubbio che il cantiere sia stato avviato in vista del 2024. Si vedrà se l’«operazione» a cui partecipa Meloni avrà successo. Sono molte le variabili. Tra queste i risultati del suo governo…

 

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