Carlo Petrini La Stampa 3 gennaio 2023
La scommessa di Lula: mettere al centro i diritti degli indigeni e la protezione dell’Amazzonia
Il neo presidente del Brasile, al governo per la terza volta, tenterà di cancellare l’eredità di Bolsonaro ricompattando il Paese
Le sfide che ha davanti Luiz Inacio Lula da Silva, che ieri ha nominato i trentasette ministri del suo nuovo governo, sono molto più nette e difficili rispetto a quelle del suo primo mandato di vent’anni fa. Dalle urne è uscito un Brasile diviso e lacerato, un Paese che le politiche di Bolsonaro hanno lasciato in una situazione rovinosa. Lula ha vinto le elezioni con neanche due punti di vantaggio, ma è riuscito ha ricompattare il fronte che aveva sostenuto la sua ascesa, vent’anni fa. Allora, tra il primo e il secondo mandato aveva perso i suoi alleati storici, ad esempio l’ex ministra Marina Silva, oggi nominata all’Ambiente, e anche tutto il mondo rurale, come i movimenti Sem Terra, perché nell’ottica di un certo modello di sviluppo, le istanze radicali degli ambientalisti e dei movimenti contadini non erano state sviluppate a sufficienza. In questa campagna elettorale, invece, Lula non solo ha recuperato un rapporto con queste istanze, ma si è compromesso al punto di riconoscere le responsabilità del suo governo. Marina Silva sarà il passaporto per la riconciliazione con il mondo ambientalista.
Già lo scorso novembre l’intervento di Lula era stato l’unico elemento di novità della Conferenza Onu su clima, la Cop28, quando aveva preso una posizione chiara e netta sulla fragilissima condizione dell’Amazzonia. Con quel discorso il presidente del Brasile è stato legittimato a livello internazionale come espressione di un cambio epocale.
Ma ormai in Brasile il disagio delle classi sociali più povere si è esasperato. Durante i suoi primi due mandati Lula aveva salvaguardato lo stato alimentare del Paese facendolo uscire dalla fame. Oggi, dopo quattro anni di disattenzione totale nei confronti dei poveri, ci sono 33 milioni di brasiliani al margine della sussistenza. Ribaltare la situazione è l’obiettivo principale di Lula, che è arrivato al punto di chiedere interventi – politici ed economici – decisi e immediati, e ha messo a capo di questo cambiamento il suo fidato Fernando Haddad, nominato ministro delle Finanze. Ma non solo: Lula si è fatto carico di raggiungere l’obiettivo della fame zero e della ricostruzione di un’alimentazione in armonia con la natura, che guardi alle produzioni agricole di piccola scala. Simbolo di questo percorso è Bela Gil, figlia Gilberto, e laureata all’Università di Pollenzo. Bela rappresenta quella componente di giovani che non è più quella contadina, ma è formata da coloro che tornano alla terra con idee ambientaliste, avendo capito che la fame riguarda anche l’approccio all’economia di piccola scala.
Siamo a un cambio di marcia rispetto alla prima elezione di Lula, e bisognerà prestare molta attenzione anche al ruolo della Premier dame, Rosângela Lula da Silva, che sulle tematiche sociali è molto impegnata ed è stata determinante per la vittoria.
Oggi siamo davanti a una nuova grande sfida, la sfida della vita per Lula e non solo per lui. Vedremo se in questi quattro anni riuscirà a conciliare questa linea dell’innovazione, che dovrà seguire con le giuste mediazioni in campo sociale e politico. Se ci riuscirà, sarà la legittimazione del suo ruolo storico.
Quello che è certo è che Lula ha l’autorevolezza nazionale e internazionale per realizzare gli obiettivi di un mandato coraggioso.
È una sfida piena di difficoltà, perché Lula non ha la maggioranza al Congresso e dovrà, inoltre, andare a trattare con quella parte della società civile che un tempo era, per sua natura, vicino a lui, ma che poi l’ha abbandonato, o con comunità con valori antitetici a quelli progressisti. Penso, ad esempio, alla grande massa della chiesa evangelica. Quando sono stato nelle favelas di Rio e di San Paolo ho notato che la maggior parte delle persone era bolsonarista, comunità evangeliche di proletari e sottoproletari diventate conservatrici. Lula dovrà parlare con queste realtà.
Il nuovo presidente dovrà affrontare in modo radicale il grande problema dell’Amazzonia. Non siamo davanti solo a una questione ambientale, ma anche sociale, connotata da una profonda spaccatura: gli indigeni da una parte, gli altri dall’altra. Se mettiamo insieme la poca sensibilità sulla questione indigena assieme al negazionismo di Bolsonaro sul cambio climatico e il Covid, in questa parte del Brasile abbiamo assistito a un disastro umanitario su vasta scala, con un numero di morti tra gli indigeni mai visto prima. Per questo la nomina di una ministra che dialoghi con gli indigeni, l’attivista Sonia Guajajara, assume una forza enorme. Con queste scelte Lula ci mostra il futuro del Brasile, la realtà delle diversità e il suo valore. La sua grande scommessa sarà ricomporre il tessuto sociale, salvaguardando chi ha protetto l’ambiente fino a oggi.