Esce su Netflix “La vita bugiarda”, intervista con il regista Edoardo De Angelis,

Raffaella De Santis La Repubblica 4 gennaio 2023
Esce “La vita bugiarda degli adulti” dal romanzo di Elena Ferrante. Intervista con il regista
Per la serie “La vita bugiarda degli adulti”, tratta da Elena Ferrante, il regista Edoardo De Angelis ha lavorato a distanza con l’autrice: “Non agevole, ma appassionante”

 

 

Parlare con Edoardo De Angelis è un tuffo dentro la sua idea di cinema: un impasto animale di emozioni tale da uscirne storditi. Il 4 gennaio debutterà su Netflix la serie La vita bugiarda degli adulti, tratta dal libro di Elena Ferrante e prodotta da Fandango. Nel cast l’esordiente Giordana Marengo, Alessandro Preziosi, Pina Turco e una strepitosa Valeria Golino. Il regista risponde al Venerdì via Zoom mentre si aggira dentro una sala costumi raccontando i venti mesi di lavorazione come fosse un corpo a corpo tra lui e la sua creatura, un viaggio che lo ha coinvolto forse più del previsto: “Giovanna, la protagonista, mi somiglia. Quel libro ha scoperchiato il vaso di Pandora dei miei ricordi”.

Quali ricordi?
“Negli anni Novanta ero anche io un adolescente e frequentavo Napoli scoprendo parti oscure della mia famiglia e della vita di mio padre, un uomo che fino ad allora non avevo conosciuto. Leggendo sono riaffiorati quei tempi, quelle strade, la musica che sentivo, la passione per la politica. Frequentavo Officina 99, il centro sociale, dove ho anche girato una scena della serie con i 99 Posse. Tra Napoli e Caserta, la mia città, c’era una stretta relazione che passava anche per l’esperienza dei Teatri Uniti”.

E come era il suo sguardo su quella Napoli?
“Era lo sguardo di un provinciale affamato. Guardavo la città in preda a una sorta di fame perenne. Rimettendola in scena ho provato di nuovo quella sensazione. Una costante ricerca di identità, una voglia di capire come collegare il mio desiderio di divertirmi e la mia indole ribelle a qualcosa di più grande, di universale. La Napoli descritta nel libro è una città speculare, una precisa mappa geografica che rispecchia le classi sociali: sopra la casa della protagonista, in via San Giacomo dei Capri, una specie di anti-Vomero dove vivono le famiglie piccolo-borghesi, sotto il popolare Pascone, infine la ricca Posillipo, un posto dove ci si può fare il bagno buttandosi dal terrazzo”.

Le è piaciuta la serie tv L’amica geniale?
“È stata un’esperienza felicissima con risultati estetici decisamente notevoli. Da parte mia ho avuto la fortuna di attingere a un immaginario personale originario, alle mie esperienze adolescenziali”.

Come ha influito nella sua formazione essere cresciuto in una famiglia di sole donne, sua mamma, sua zia e sua nonna?
“Mi ha portato a una conoscenza approfondita del mondo femminile, che però rimane per me misterioso. Un mistero che cerco di preservare quando metto in scena personaggi femminili, assecondandolo, non cercando mai lontanamente di comprenderlo”.

Lo ha fatto anche dando vita a Giovanna, la protagonista interpretata da Giordana Marengo?
“Giordana è un essere straordinario, l’abbiamo scelta dopo aver visionato tremila provini nonostante non avesse avuto esperienze di recitazione precedenti. Era perfetta, portava naturalmente con sé quei corto circuiti tipici della sua età che la avvicinavano alla Giovanna del libro”.

Che cosa le ha fatto capire che era la persona giusta?
“Non saprei spiegare. Per me conta una forma di riconoscimento che non si basa su criteri stabiliti in maniera consapevole. È qualcosa che quando scatta somiglia a un innamoramento nei confronti di quell’essere umano, qualcosa che non riesco a decifrare ma che si rivela nel fotogramma e che mi attrae e mi spinge ad approfondire con altri provini e verifiche”.

Si è innamorato di Pina Turco, sua moglie, attraverso una cinepresa?
“Nel nostro caso è successo il contrario. Il film Il vizio della speranza è nato come conseguenza dell’innamoramento. L’ho costruito partendo da lei, è stata Pina ad avermi ispirato”.
Da che cosa si fa guidare quando gira un film?
“Prima di tutto dalle emozioni. Chi se ne importa della bravura, importa solo ciò che è vero. Poi certo per far emergere la verità è necessaria una tecnica raffinata, ma si tratta solo di uno strumento. Uno strumento che va dimenticato perché tutto risulti naturale. Il fotogramma vive di momenti viscerali. Tendo a scegliere gli interpreti abbandonandomi a questi movimenti primordiali. Come si dice a Napoli, mai mettere a’ carne a’ sotto e i maccarùne a’ coppa. Mai ribaltare le cose, bisogna assecondare ciò che è prioritario, le spinte originarie e la verità che contengono”.

Come mai ha scelto Valeria Golino per la parte della sfrontata e vulcanica zia Vittoria?
“Aver lavorato con Valeria mi rende particolarmente felice. Ci ho messo un po’ a convincerla. Non credeva di essere la scelta giusta, si sentiva troppo lontana dal personaggio. Aveva ragione, ma le ho spiegato che proprio per questo era adatta. Mi affascina sempre l’elemento paradossale. Farle interpretare un ruolo tanto distante ci ha permesso di far convivere l’aggressività e l’animalità del personaggio con la dolcezza e l’eleganza naturale di Valeria”.

Provi a raccontare il libro alla sua maniera.
“È la storia di una ragazza che entra in contatto con la parte più oscura di se stessa e della propria famiglia e scopre che nessuno è immune da ombre, che gli esseri umani mentono, che gli adulti sono bugiardi. Le menzogne sono un passaggio necessario della crescita e non è detto che la verità non contempli anche la menzogna”.

La menzogna è necessaria al processo creativo?
“Non direi questo. Nell’equilibrio precario tra realismo, fantasia e magia a me sembra che la verità sia una guida. Ma non la verità intesa in maniera superficiale, la dicotomia tra bianco e nero, ma la verità in tutte le sue sfumature di colore, la verità in tutta la sua sporcizia”.

Nel libro Il vizio della speranza (Mondadori Strade Blu, 2018) confessa di non sopportare i “film uallera”. A che tipo di film si riferisce?
(ride, ndr) “Quel genere di film che ti fa due palle tante… Capisco il valore dell’autoflagellazione ma se non sei dell’Opus Dei o devi fare penitenza per qualche motivo, forse è preferibile godere. Il che può implicare anche soffrire, ma non morire di noia, per cortesia”.

È stata contenta Elena Ferrante del risultato?
“A conclusione della lavorazione ho ricevuto una sua lettera davvero molto bella che mi ha fatto comprendere quanto il desiderio riposto nel lavoro svolto fosse stato non solo apprezzato ma profondamente compreso e condiviso dall’autrice del romanzo. Sono contento di averla ricevuta”.

E lavorare con la scrittrice alla sceneggiatura è stato agevole?
“Non posso dire che sia stato agevole. La frequentazione personale, la voce, gli sguardi, sono importanti mentre si lavora. Con Elena Ferrante abbiamo avuto un rapporto epistolare affascinante ma che ha manifestato a un certo punto i suoi limiti perché ci sono cose che non si riescono a comunicare attraverso una lettera. O almeno io non ci riesco. In quei momenti di impasse ho capito che dovevo realizzare dei fotogrammi per farmi capire”.

Avete modificato la sceneggiatura in corsa?
“Laura Paolucci e Francesco Piccolo hanno lavorato alla scrittura e riscrittura in continuazione. Il film è un animale vivo e i suoi movimenti non sempre sono immaginabili in fase progettuale. Gli attori sono esseri umani portatori di una magia imprevedibile, non coglierla diventa un peccato. È una continua sfida, un continuo rilancio”.

Ci sono stati momenti di incomprensione?
“Diciamo che c’è stata una dialettica appassionata, che considero parte del processo creativo, e che è approdata infine a un entusiasmo comune”.

Continua a seguire l’insegnamento di Kusturica: “Non smettere mai di fare film che ti somigliano”?
“Non saprei fare diversamente. So solo assecondare la mia natura. Ogni tipo di finzione rispetto a quella che è la mia identità più profonda mi fa provare vergogna”.

Ora sta girando il film Comandante, storia ambientata su un sommergibile durante la seconda guerra mondiale. Sembra un tema molto diverso dai suoi.
“Il tema ha poca importanza, è la forza che sprigiona a contare. Continua a interessarmi chi è schiacciato, chi viene sopraffatto, chi è capace di tendere la mano a chi sta cadendo. Sono questi aspetti dell’esistenza che mi commuovono”.

 

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