Gli orfani del Papa emerito, pronti a riarmare la fronda

Iacopo Scaramuzzi La Repubblica 5 gennaio 2023
Quegli oppositori nell’ombra orfani del Papa emerito e pronti a riarmare la fronda
Ratzinger ha frenato chi lo voleva usare come sponda per insidiare Bergoglio. Ma ora la partita ricomincia

 

 

Eletto da cardinali che videro in lui l’uomo capace di rilanciare i fasti del wojtylismo con credibilità personale e fermezza dottrinale, Joseph Ratzinger, a un certo punto del suo pontificato, deluse i ratzingeriani duri e puri. I conservatori non hanno apprezzato che Benedetto XVI reagisse agli scandali che esplosero nei suoi anni con tono penitenziale, scambiato per cedevolezza. E non gli hanno mai perdonato, chi più sommessamente chi più apertamente, di aver rinunciato al pontificato. Rovinando la tela che stavano tessendo per fare emergere un successore in linea, e aprendo le porte ad un Conclave che, nel marzo del 2013, elesse l’arcivescovo di Buenos Aires.

Per gli ambienti conservatori e tradizionalisti la personalità di Joseph Ratzinger è rimasta un baluardo per arginare le aperture bergogliane, spesso ben al di là delle intenzioni dello stesso Papa emerito. Lo hanno eletto a riferimento per l’opposizione a Francesco – ruolo al quale Benedetto si è risolutamente sottratto – e ora si sentono orfani.

Se il suo segretario particolare, monsignor Gänswein, rompe gli indugi anzitempo e attacca Francesco sulla liturgia, altri in queste ore rimangono in silenzio. Ma i loro volti sono noti da anni. C’è l’anziano cardinale tedesco Walter Brandmüller, che ha criticato apertamente Ratzinger per il passo indietro, e non ha mai lesinato critiche a Francesco. Da ultimo, ha criticato la determinazione del Papa argentino a nominare cardinali di tutto il mondo, auspicando che il prossimo pontefice sia eletto da soli cardinali residenti da almeno dieci anni a Roma: norma che, se valida nel 1978, avrebbe ad esempio impedito l’elezione di Giovanni Paolo II.

A Roma c’è poi il cardinale statunitense Raymond Leo Burke: fautore del messale pre-conciliare, oltranzista “pro life”, il porporato è un dichiarato estimatore di Donald Trump. Non ha mai nascosto le sue perplessità nei confronti di Bergoglio, nel campo della liturgia come in quello della morale. Lui e Brandmüller lo criticarono aspramente, con dubbi dottrinali (in latino, “dubia”) sulla comunione ai divorziati risposati. La fronda anti-bergogliana della Chiesa è forte in generale nell’episcopato degli Stati Uniti. Lo si è visto quando un ex nunzio a Washington, monsignor Carlo Maria Viganò, attaccò Francesco a testa bassa, nel silenzio eloquente di diversi vescovi.

Oggi a fianco di Brandmüller e Burke compare spesso il cardinale Gerhard Ludwig Müller, allievo di Benedetto XVI e suo successore alla testa della congregazione della Dottrina della fede, fino a quando Francesco non lo prepensionò. Da allora è rimasto a Roma, difendendo, da buon teologo, la piena legittimità di Papa Francesco (“C’è solo un Papa”), ma tampinandolo di raccomandazioni sulla necessità di non aumentare la “confusione” dei fedeli.

Critico in modo più discreto di Papa Francesco è poi il cardinale australiano George Pell: carattere impetuoso, ex ministro delle Finanze del Vaticano, è stato in carcere 400 giorni nel suo paese per un’accusa, poi decaduta, di abusi sessuali su minori. Turbocapitalista, conservatore schietto, non ha mai nascosto il dissenso nei confronti del riformismo bergogliano.

Il cardinale Robert Sarah, da parte sua, guineano, ha un rapporto personale cordiale con il Papa, ma la pensa diversamente da lui sull’islam e sull’immigrazione, sulla morale sessuale e, soprattutto, sulla liturgia. Sarà a Roma per i funerali di Benedetto, su autorizzazione delle autorità di Hong Kong, l’anziano cardinale Zen Ze-kiun, critico sull’accordo della Santa Sede con la Cina.
Fino ad oggi questi porporati si nascondevano dietro la figura bianca del Papa emerito. Con i funerali di Benedetto XVI cambia anche il loro rapporto con il Papa regnante.

 

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