Le mani sul Tesoro, la premier punta Rivera e spacca la maggioranza

Serenella Mattera La Repubblica 5 gennaio 2023
Le mani sul Tesoro, la premier punta Rivera e spacca la maggioranza: “Poi chi parla con la Ue?”
Meloni vuol rimuovere il direttore generale nominato dal Conte I. Gli alleati riottosi: “Vogliono prendersi tutto e isolare Giorgetti”

 

Non è solo una questione di nomi. Non è solo, legittimo, spoils system governativo. È la presa del palazzo, il tentativo di reimpostare da dentro il sistema che fino a ieri, da fuori, si è criticato. Perciò Alessandro Rivera. Perciò il direttore generale del Tesoro. È lui la pedina grossa che Giorgia Meloni pensa di muovere. I fedelissimi della premier non ne hanno mai fatto un segreto. Vogliono lasciare scadere il suo mandato al 24 gennaio, termine ultimo dettato dalla legge. Indicare un nome di più stretta fiducia nello snodo cruciale per i conti pubblici. È naturale, dicono. Ma non la pensano così ai piani alti di Lega e Forza Italia. I più avveduti hanno profondi dubbi che la nuova destra al potere, guardata ancora con sospetto dalle cancellerie alleate, possa permettersi di sostituire l’alto dirigente che da cinque anni tiene i rapporti del Tesoro con Ecofin e G20, proprio mentre la Bce alza i tassi e allenta il suo scudo sull’Italia. I più sofferenti per il dominio meloniano, lamentano che il “machete” dello spoils system agitato da Guido Crosetto a suon d’interviste, porti solo l’etichetta di Fratelli d’Italia. La doglianza suona più o meno così: “Vogliono prendersi tutto, incluso il controllo dell’Economia, isolare Giorgetti”.

Lui, Giancarlo Giorgetti, sulla vicenda finora non ha detto una parola. Anzi, si mostra infastidito dal tracimare del caso Rivera sui giornali. Raccontano che nei primi giorni da ministro fosse lui il primo a coltivare il pensiero di rimettere mano a tutti vertici della struttura. L’attuale direttore generale, in carica dal 2018 per volontà dei gialloverdi, non è certo un uomo di destra. Ma con il passare delle settimane il leghista ne avrebbe apprezzato la caratura da civil servant. E nutrito forti dubbi che sostituirlo sia la scelta giusta. Non perché sia insostituibile: Giorgetti va ripetendo che nessuno è insostituibile, neanche lui. Ma il ruolo è cruciale, chiunque prendesse il posto di Rivera avrebbe bisogno di tempo per acquisire padronanza del ruolo. A chi lo interpella il ministro dice di avere le idee chiare. In che senso? Non lo svela. Lascia intendere che ha in serbo una sorpresa. Intende esercitare la scelta, par di capire, non farsela dettare. Ne parlerà probabilmente con Meloni.

Ma qual è il problema, a sostituire Rivera? Il problema è che il direttore generale del Tesoro si occupa di Ecofin e G20. Tesse rapporti e trattative ai tavoli internazionali. Sta in Europa, là dove si decidono i margini di azione di un Paese come l’Italia ancora fortemente zavorrato dal debito pubblico. Rivera, che è difeso dalle fondazioni bancarie e in ambienti di maggioranza assicurano essere apprezzato per il suo lavoro anche al Quirinale, quei rapporti li ha gestiti con tre diversi governi. “Parla con tutti”, sintetizza un dirigente leghista. E nel mezzo di una crisi ancora preoccupante, mentre risuonano nei palazzi europei le critiche di un ministro di peso come Crosetto alla Bce, il timore è che la sostituzione riduca i margini di azione, anziché allargarli. Manco a parlarne di sostituire insieme a Rivera anche il Ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta, come qualcuno dalle file della destra va sussurrando. “Rischiamo di restare allo sbaraglio”.

A queste preoccupazioni i meloniani più convinti della sostituzione replicano che profili adatti ce ne sono, anche di livello. Citano il presidente di Ita Antonino Turicchi. In subordine citano Stefano Scalera, dirigente del Mef. E per Rivera ipotizzano come risarcimento l’indicazione all’Ocse, magari da vicesegretario. Un ruolo per il quale il precedente governo aveva ipotizzato Marco Buti, capo di gabinetto di Gentiloni e alto dirigente Ue, che per ragioni personali però non sarebbe disponibile. L’idea del nuovo esecutivo sembra scontrarsi con le perplessità del segretario generale Ocse, l’australiano Mathias Cormann, che avrebbe fatto pervenire il messaggio che quel posto, ipotizzato per Buti, non spetta di diritto all’Italia. Di qui la suggestione di puntare sulla Bei. Chi conosce Rivera però scommette che se sostituito l’alto burocrate non chiederebbe di essere risistemato ma si cercherebbe da solo un lavoro, anche perché è difficile trovare per un direttore del Tesoro – lo fu Draghi – incarichi che non siano retrocessione.

Il punto ora è dunque politico, tanto che circolano voci di rinvii dello spoils system (ma i termini sono di legge). Rivera, agli occhi degli alleati, è espressione di un tentativo meloniano di rimettere mano all’intero sistema, un tentativo che a livello teorico passa dalle critiche di Fazzolari a Bankitalia e dagli attacchi di Crosetto alla Bce. Un tentativo che poco lascerebbe agli alleati. Allo stesso Giorgetti, nota più d’uno, prima hanno tolto il fisco (delega a Maurizio Leo), poi il Pnrr, accentrando nelle mani di Fitto (negli altri Paesi Ue è l’Economia a gestire il dossier). “A volte, come sulla manovra, danno l’impressione di essere ancora all’opposizione”, si duole un dirigente FI. Vale a dire: fanno gli antisistema al governo.

Nel progetto meloniano rientrerebbe anche Cassa depositi e prestiti, con la sostituzione anticipata – lo fece in passato solo Matteo Renzi – di Dario Scannapieco, che scade nel 2024. Il ruolo sarebbe in discussione nonostante il ministro Adolfo Urso stia lavorando bene con l’Ad di Cassa. Potrebbe tornare in gioco in primavera, quando scadranno i vertici delle partecipate. Saldo Claudio Descalzi all’Eni, potrebbe essere sostituito Francesco Starace all’Enel. E poi Leonardo, Enav, tutto in discussione. Palazzo Chigi indicherà Ad e presidenti. Gli alleati temono di raccogliere le briciole.

 

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