Stefano Cappellini La Repubblica 5 gennaio 2023
A prescindere dal merito
Con lo spoils system molte poltrone sono state sostituite
Si usa dire spoil system – letteralmente “sistema del bottino” – perché l’espressione viene dagli Stati Uniti d’America e indica la prassi di sostituire i vertici dell’amministrazione statale o delle società pubbliche con esponenti vicini alla parte politica che ha prevalso alle elezioni. Poiché il governo ha dichiarato guerra alle lingue straniere, come ai tempi del Ventennio, si potrebbe chiamarla lottizzazione, cosa che di fatto è, oppure occupazione dei posti, altro dato di fatto. Per chi come i Fratelli d’Italia ama le suggestioni storiche, si potrebbe dire bonifica o forse rastrellamento, vista la brutale solerzia con cui nelle ultime ore l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha intensificato le destituzioni di dirigenti sgraditi, dal presidente dell’Agenzia del Farmaco, Nicola Magrini, al commissario per la ricostruzione post terremoto nelle regioni del centro Italia, Giovanni Legnini. Altre operazioni sono in corso nei ministeri, e in particolare in quello dell’Economia, dove nel mirino della presidente del Consiglio è il direttore generale Alessandro Rivera. Qualche giorno fa il ministro della Difesa Guido Crosetto, spesso ventriloquo delle intenzioni meloniane, aveva spiegato che occorre “usare il machete” per rendere prona al nuovo esecutivo la burocrazia statale.
Sullo spoil system è in corso da decenni un dibattito che non pretendiamo certo di risolvere qui. In sintesi, i fautori sostengono che il metodo fa parte integrante della democrazia dell’alternanza e che non c’è nulla di male nel desiderio che l’azione di governo sia accompagnata da dirigenti pubblici in sintonia con le intenzioni e i programmi politici di chi ha vinto le elezioni. Aggiungono, gli ottimisti, che il governo è il più interessato di tutti a designare comunque figure all’altezza dato che anche dalle loro capacità dipende la possibilità di centrare gli obiettivi. D’altra parte, i detrattori obiettano che, pur con qualche eccezione, il sistema tende infine a premiare l’ottusa fedeltà alle competenze, e questo anche per la tendenza del potere politico a scambiare per ostacolo o sabotaggio qualsiasi obiezione tecnica: un dirigente fedele e scattante può velocizzare alcune pratiche ma anche fare molti più danni di uno scrupoloso e prudente.
Insomma, lo spoil system non può essere considerato un bene o un male in sé ed è per definizione praticato da entrambe le parti politiche. Ma, trattandosi appunto di un sistema che fa presto a degenerare, c’è modo e modo di praticarlo. Nel caso del governo Meloni la virtù più ricercata pare l’obbedienza, garantita dalla militanza nel partito giusto. La sensazione, accreditata anche dalle parole di Crosetto, è che l’ansia del governo sia riempire di fedelissimi i gangli del Palazzo, un po’ per ansia di controllo e un po’ per quella sindrome da complotto che il vittimismo più volte mostrato da Meloni e da alcuni suoi ministri non può che alimentare.
Nel caso della rimozione di Legnini è persino discutibile parlare di spoil system: un commissario straordinario è figura particolare, non dovrebbe rientrare tra gli avvicendamenti causati dal cambio di governo. Una sostituzione andrebbe giustificata con problemi di altra natura e, soprattutto, con la designazione di una figura chiaramente più attrezzata. Non pare questo il caso, sebbene il sostituto Guido Castelli abbia a suo modo un curriculum attrezzatissimo: senatore di Fratelli d’Italia, già assessore della giunta marchigiana presieduta da Acquaroli, ex sindaco di Ascoli Piceno. Una foto di gioventù lo ritrae mentre fa il saluto romano fuori dalla cripta in cui è sepolto Mussolini a Predappio. Non gli manca nulla.
Dal governo si deve pretendere che lo spoil system sia praticato con più continenza e criterio, richiesta che non dovrebbe suonare bizzarra alle orecchie di un esecutivo che ha ritenuto di ribattezzare un ministero, quello dell’Istruzione, pur di recuperare la parola “merito”. Le premesse non autorizzano però a essere ottimisti. Il furore governativo sembra basarsi su altre aspettative: se questi boiardi non credono e non combattono, che almeno obbediscano.