Spoils system , le voci che irritano Giorgetti e il messaggio di Meloni ai burocrati

Federico Fubini Corriere della Sera 5 gennaio 2023
Spoils system e dirigenti della pubblica amministrazione. Le voci che irritano Giorgetti e il messaggio di Meloni ai burocrati
L’obiettivo di intervenire sulla legge Bassanini. Le tensione tra il ministro dell’Economia e Urso. Il rapporto con Crosetto

 

 

Il conto alla rovescia è alle battute finali, perché l’articolo 19, comma 8 della legge Bassanini sulla pubblica amministrazione del 2001 è chiaro: gli «incarichi di funzione dirigenziale» quali vertici dei ministeri o delle agenzie «cessano decorsi novanta giorni dal voto di fiducia del governo». Dunque qui il silenzio equivale al licenziamento, non a un assenso.

Eppure non è certo il silenzio a dominare, mentre scorrono i giorni che scadranno il 24 gennaio. Sul Messaggero il ministro della Difesa Guido Crosetto ha parlato di usare «il machete» anche «contro chi nelle amministrazioni si è contraddistinto per la capacità di dire no ». Voci anonime di governo fanno filtrare sui media che il principale candidato a perdere il posto sarebbe Alessandro Rivera, da quattro anni e mezzo direttore generale del Tesoro. Anche i rapporti fra Palazzo Chigi e il Ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta sono freddi, al punto che questi non è mai stato coinvolto nelle riunioni sulla legge di Bilancio alla presidenza del Consiglio: mai successo prima.

Giorgia Meloni dà una lettura più ampia: «Credo che il problema del rapporto tra la macchina burocratica e la politica sia stato fondamentalmente nella debolezza della politica», ha detto la premier giorni fa. «La macchina amministrativa ha sempre guardato il ministro di turno o il presidente (del Consiglio, ndr) come un passante e in molti casi ha preso il sopravvento». Di conseguenza Meloni si è augurata «una revisione profonda della legge Bassanini», che dia ai politici gli strumenti del loro potere («Se ho la responsabilità, ce l’ho nel bene e nel male», ha detto). Se dunque la legge oggi permette ai governanti di sostituire la quarantina di dirigenti di vertice, cambiarla può solo voler dire una cosa: allargare questo spoils system almeno alla fascia subito sotto, altri 400 dirigenti. Già solo dirlo manda un messaggio — e magari un brivido lungo la schiena — alle strutture.

Intanto il conto alla rovescia corre. Né il governo può aspettare il 24 gennaio, perché il Quirinale considera l’essere informato con anticipo un elementare atto di cortesia. Al Colle dovrà svolgersi un esame dei requisiti formali di chi sostituirà i dirigenti lasciati decadere, dato che il presidente della Repubblica entra nella procedura: l’incarico di vertice è conferito con un suo decreto «previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente». C’è però un’altra ragione per la quale qualunque cambio nel ministero dell’Economia interessa al Quirinale, come al resto d’Europa.

L’ultimo governo che ha debuttato licenziando i vertici del Tesoro è stato quello di Liz Truss a Londra a settembre scorso: quando saltò il «Permanent Secretary to the Treasury» Tom Scholar, per i mercati fu il primo segnale dell’instabilità che presto avrebbe portato alla caduta della premier. In Italia il quadro è diverso, nella misura in cui la politica di bilancio oggi è prudente. Antonino Turicchi, il presidente di Ita visto come possibile successore di Rivera, ha un curriculum solido ma finora molta meno esperienza fuori dall’Italia (specie nei negoziati europei). Di Mazzotta invece non ci sono sostituti evidenti, anche se l’ex dirigente Inail Giuseppe Lucibello sembra vicino all’area di centrodestra.

Ma l’altra differenza con il caso Liz Truss è politica: la giubilazione di Tom Scholar avvenne con l’assenso del ministro del Tesoro Kwasi Kwarteng, mentre a Roma la stagione della caccia (volutamente) pubblica a Rivera è stata aperta senza il ministro dell’Economia. Giancarlo Giorgetti non è propenso a cambiare né il Ragioniere dello Stato né il direttore generale del Tesoro — non ora — anche se pensa che i rapporti di forza nel governo non siano dalla sua. Lui è minoranza moderata nella Lega, un partito a sua volta di minoranza in un governo di Fratelli d’Italia.

Perché qui è il punto: Giorgetti vede nell’attacco in corso a Rivera un attacco a se stesso, un tentativo di indebolirlo e ridimensionarlo da parte di alcuni settori di governo. Sotto Natale si sono già viste scintille in Consiglio dei ministri su un caso di merito fra il titolare dell’Economia e il collega Adolfo Urso (Imprese, FdI), mentre i rapporti di Giorgetti con Crosetto (anche lui di FdI) sono improntati a un sano reciproco sospetto. C’è poi l’azione del ministro degli Affari europei Raffaele Fitto (FdI), che richiede il controllo a Palazzo Chigi sulla parte della Ragioneria che segue il Piano di ripresa. Tutto dunque è stabile negli assetti di governo, almeno fino a quando non lo sarà più.

 

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