Maurizio Crosetti La Repubblica 9 gennaio 2023
Il cordoglio per Vialli e gli scontri tra ultrà
Il calcio ipocrita
I barbari del calcio marciano incappucciati di nero sull’autostrada del Sole, in trecento impugnano aste e coltelli, spranghe e cinghie, tirano sassi e petardi, scandiscono i loro cori di battaglia, si menano come furie all’autogrill e tengono sotto sequestro per ore centinaia di automobilisti che stanno rientrando dalle vacanze, intere famiglie sbigottite e terrorizzate, tredici chilometri di coda, traffico bloccato, civiltà sospesa.
Si evita il morto per puro caso, ma il sangue scorre. Questo il primo weekend del pallone dopo il cordoglio per Pelé e Vialli, dopo le lacrime calde e vere per due uomini, non solo due campioni, che ci hanno mostrato il senso della bellezza e della dignità, portatori di quei valori che dallo sport entrano direttamente nelle nostre esistenze. Ma poi? Poi ha trionfato l’ipocrisia.
I barbari organizzano l’agguato, si promettono violenza, decidono di scannarsi, è questa la loro unica lingua. Per loro, il calcio è devianza e sfogo brutale, quasi sempre impunito. E noi dobbiamo assistere inermi, in ostaggio. Loro, i rapitori.
Noi, i sequestrati. E lo Stato non c’è. Da troppo tempo è così.
Dei peggiori ultrà si sa tutto, si conoscono nomi, cognomi e indirizzi. I loro volti sono schedati. Viviamo nella civiltà della telecamera, non si scappa dall’occhio elettronico. Quando gli ultrà fanno i cattivi, si prova a lasciarli fuori dagli stadi ma proprio lì, lontano dalle gradinate, costoro si danno appuntamento e sfasciano ogni cosa cominciando dall’idea condivisa del vivere sociale. La guerriglia urbana è preparata a tavolino e a mente fredda, talvolta è prevista dalle forze dell’ordine che però sono sempre esigue, e poi mica si può militarizzare l’Italia. Però come prevenzione si fa ancora poco o niente, è un problema di istituzioni politiche e sportive: l’alternanza dei governi non ha mai prodotto veri risultati.
Ora abbiamo, in teoria, un esecutivo forte: non lo sia soltanto con i deboli. Prendersela con chi va ai rave e con i migranti è sicuramente più facile che combattere i vandali incappucciati, ma si potrebbe almeno tentare. Dopo le inevitabili e prevedibili frasi di sdegno, comprese quelle del ministro Salvini che in passato strinse la mano a qualche capo ultrà pregiudicato, ci attendiamo concretezza, non retorica populista.
Per un macabro gioco del destino, la battaglia dell’autogrill nei pressi di Arezzo si è svolta nello stesso luogo in cui nel 2007 venne ucciso Gabriele Sandri, ultrà laziale (e ieri la curva della Lazio è rimasta chiusa per cori razzisti). Neppure le lapidi servono a fermare la follia. I barbari romanisti stavano andando a San Siro, quelli napoletani a Marassi: si sono dati appuntamento a metà strada, trasformando quella strada in una terra di nessuno, una zona franca senza tetto né legge. Era già successo, succederà ancora. Ogni volta ci sembra peggiore della precedente ma è la replica del medesimo film, purtroppo vero. E mentre i fumogeni bruciano gli occhi di bambini e anziani, chiusi nelle loro auto in balìa del destino, mentre l’unica soluzione è sperare in bene oppure filmare col telefonino le falangi in marcia (i video in rete fanno impressione, cominciando dal sottofondo di voci e suoni sotto un cielo livido di nuvole e gas), la cosiddetta società civile prende atto di una resa senza condizioni. Le persone normali possono solo sperare di non trovarsi mai nel posto sbagliato al momento sbagliato, vittime di delinquenti che si possono soltanto reprimere, prevenire e punire, non osservare come se fossero i padroni del territorio: ieri, per lunghe ore lo sono stati.